[Il 27 maggio 1947 l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Preti. [...] Comunque, visto che si afferma potere solo un ente che conti su un territorio, su una popolazione, su una ricchezza adeguata, vivere prosperamente sul piano della autonomia, non si può fare a meno di mettere in risalto le contraddizioni del progetto. Infatti, l'articolo 123 non solo dà la sanzione a certe regioni storiche, che, sul piano economico e sociale, non valgono di più di quanto non valga una qualunque provincia della Lombardia o del Veneto, ma addirittura crea ex novo altre regioni, che, sostanzialmente, equivalgono esse pure a una provincia. In questa maniera si contraddice al postulato fondamentale dei regionalisti, che afferma la regione dovere esistere a preferenza della provincia, in quanto essa sola ha un raggio sufficientemente ampio di azione.

Per fare qualche esempio, osserverò che si mantiene in vita l'Umbria, che è oggi più piccola di quanto non fosse prima del fascismo la sola provincia di Perugia; e si conserva del pari in vita la misera Lucania. E si creano, tra le nuove regioni, il Molise, che altro non è se non la spopolata provincia di Campobasso, e quell'assurdo Salento, cui nella intenzione dei foggiani dovrebbe ora fare pendant la Daunia.

Al contrario di quanto sta avvenendo, bisognerebbe notevolmente ridurre le regioni del centro-sud, se si vuole essere coerenti col postulato regionalista.

[...]

Rescigno. [...] non passerò in rassegna gli argomenti pro e contro la regione (da buon democratico cristiano sono per la regione), ma fermerò la mia attenzione soprattutto su due articoli di questo progetto, a proposito dei quali ho presentato degli emendamenti: darò, in altri termini, conto di questi emendamenti.

Uno è l'articolo 107, il quale decreta la morte della provincia come ente autarchico, e l'altro l'articolo 123, il quale crea le regioni, le 22 regioni italiane. Per me non hanno valore la discussione teorica, i tanti argomenti di natura dottrinale; per me ha importanza il problema pratico: come concretamente, nella realtà e nella pratica la Commissione ha proceduto nel creare queste regioni; e a quali criteri di natura geografica, di natura economica, di natura antropica si è attenuta per creare quelle regioni e non altre.

[...]

E passo al secondo punto del mio breve intervento: articolo 123, le regioni.

L'onorevole Commissione ha creato 22 regioni. Io vorrei domandare agli onorevoli commissari con quali criteri di natura geografica, o di natura economica, o di natura antropica, sono state create queste regioni, perché il problema della divisione in regioni di uno Stato non è il problema più semplice di questo mondo. Affatto: è il problema più difficile che ci sia. Geografi insigni hanno profuso, su questo problema, fatiche, sudori, hanno creato teorie, hanno escogitato metodi. Il fondatore del metodo scientifico in questa materia fu il Ritter. Non starò a citarvi altri. Un altro geografo, l'Unstead, ha trovato il metodo migliore, il metodo sintetico. Ora si possono creare delle regioni o tenendo conto di un solo fenomeno, ed allora avrete una regione semplice, ci dicono questi studiosi; o tenendo conto di un gruppo di fenomeni propri di un territorio ed avrete delle regioni complesse; oppure tenendo conto di più gruppi di fenomeni, ed avrete regioni integrali; e questa è la regione vera, la individualità naturale che voi avreste dovuto creare. E in Italia ci sono queste individualità naturali, le quali pur non rispondendo a circoscrizioni legali, a circoscrizioni amministrative, sono però vive, profondamente vive, nella coscienza del popolo. Il popolo le intuisce: quando si dice Monferrato, Casentino, Marsica, si dice qualcosa che è vivo nella sua coscienza, anche se non rappresenta una regione ai fini legali. Ma quando nell'articolo 123 si mette la Campania, si mette qualcosa che non ha nessuna individualità, che, oltre a non rispondere a concetti o a criteri geografici (Rumori), non risponde neanche a criteri di giustizia. E che non risponda neanche a criteri di giustizia ve lo dimostrerò, e non attraverso argomenti che potrebbero anche avere sapore di campanilismo. Qui non vengo a fare questioni campanilistiche, e potrei anche farne; potrei invocare, per la mia città e per la mia provincia, la storia. Potrei dirvi che la mia città è stata la capitale di un principato, nei secoli lontani, ed è stata la metropoli dei vasti domini normanni. Potrei dirvi che ha delle benemerenze nel campo sociale; che nella rivolta sociale del 1647 ebbe il suo «Masaniello» in Ippolito da Pastina; potrei dirvi che nel 1799 fu la prima ad aderire alla Repubblica napoletana; vi potrei rammentare tutto il contributo portato ai fasti del nostro Risorgimento, ma non lo faccio, perché qui non debbono valere le idealità, ma debbono valere le cifre. Ebbene vi porterò le cifre. Ho comprato, a bella posta, una pubblicazione dell'Istituto di statistica, perché voi mi potreste dire: ma noi non possiamo creare delle regioni piccole, e non possiamo fare quello che ci chiedi ora col tuo emendamento, cioè la regione Salernitano-Irpina, perché sarebbe troppo angusta!

È vero. La mia città in fatto di olocausto delle anguste rinomanze di fronte ai destini più vasti della Patria non è stata mai seconda. Nel 1127, quando l'Italia meridionale si unì alla Sicilia, Salerno rinunciò ad essere capitale, e rinunciò anche ad essere capitale con Carlo 1° di Angiò, quando questo sovrano portò la capitale a Napoli. Allora Salerno si ritenne ferita nel suo orgoglio; ma oggi, onorevoli colleghi, non si tratta di questo; oggi, questo ordinamento di regioni che voi avete preparato ferisce i suoi interessi! Ve lo immaginate voi il povero «uomo della strada», come lo chiamava poco fa l'onorevole Preti, che da Sapri dovrà, per regolare la sua pratica di un familiare infermo o folle, recarsi a Napoli, ve lo immaginate voi? (Interruzioni Commenti). Infatti, perché un folle vada nella casa di salute occorre la deliberazione della deputazione provinciale, e quando voi l'avrete soppressa questa deputazione, il povero contadino di Sapri dovrà andare a Napoli e non a Salerno. E così ve li immaginate voi gli ingegneri degli uffici tecnici della regione, quando dovranno andare da Napoli nell'impervio Cilento, per provvedere alla viabilità di quell'aspra regione?

Onorevoli colleghi, io sto considerando la regione così come l'avete voi costituita, io non sto combattendo la regione così come deve essere costituita. Voi mi direte: la regione deve essere ampia...

Persico. Ce ne vogliono dodici.

Rescigno. Ne volete dodici, ma io ne vorrei tre: Italia settentrionale, centrale e meridionale; ma dal momento, onorevole Persico, che è stata creata una regione come il Molise o come la Salentina (io non contrasto, anzi sono felice che queste regioni siano state create), e dal momento che è stata creata la regione della Lucania, io dico che è necessario creare anche la regione Salernitano-Irpina. Perché, se la onorevole Commissione avesse sentito il bisogno di interrogare, di interpellare i rappresentanti e i deputati di queste due province, si sarebbero esposte alla Commissione delle ragioni, alle quali si sarebbe venuto forse anche incontro. Ma questo la Commissione non lo ha fatto, e noi dobbiamo, per dovere verso la nostra coscienza e verso i nostri rappresentati, prospettare qui queste ragioni.

Onorevoli colleghi, qui non è più la storia o la poesia o il campanilismo, qui sono le cifre che parlano. Quando voi mi create la regione del Molise, che ha 127 comuni, mentre le province di Avellino e Salerno, delle quali vi chiedo la costituzione in regione, contano 262 comuni...

De Mercurio. Avellino non la vuole.

Rescigno. Però la vogliono la geografia e le esigenze economiche della nostra Nazione.

Tonello. Ha ragione; hanno fatto un pasticcio! (Commenti Interruzioni).

Rescigno. Dicevo, quando questo Molise ha una superficie di chilometri quadrati 4.450, laddove le due province di cui vi ho fatto testé cenno hanno una superficie di chilometri quadrati 7.724 ed una popolazione di 1.171.689 abitanti di fronte ai 388.268 del Molise stesso, non so cosa si voglia ancora per ritenere giustificata la mia richiesta...

Reale Vito. Sono d'accordo.

Rescigno. Queste cifre acquistano un significato ancor più rilevante e notevole, quando si passa alla parte economica e alla parte sociale del raffronto. Il Molise ha appena cinque aziende di credito, con una cifra di depositi a risparmio presso le medesime di 46,5 milioni e di 413,4 milioni sulle Casse postali; invece, le due province di Avellino e Salerno hanno ben 22 aziende di credito, con operazioni di deposito, presso queste aziende, per la sola Avellino nella misura di 22,7 milioni, per Salerno di 134,5 milioni, e nelle Casse postali, per Avellino di 443, per Salerno di 616,9 milioni.

Quando questo raffronto lo si estende alle scuole, si vede che il numero delle scuole del Molise è grande, ma quello del Salernitano e dell'Irpinia è notevolissimo. Ripeto, questo non per contestare la creazione della regione del Molise, ma per rispondere alle esigenze elementari di giustizia. Io dico che la creazione della regione Salernitano-Irpina è una necessità fondamentale, per la struttura geografica di questa regione, perché, mentre le due province di Avellino e Salerno sono prevalentemente montuose, il resto della Campania è prevalentemente pianeggiante; mentre Salerno e Avellino hanno appena, si può dire, iniziata la trasformazione della loro economia agricola in economia industriale, il resto della Campania ha già quasi compiuto questa trasformazione...

Mancini. Questo non è esatto. Magari!

Sicignano. Le state dicendo troppo grosse! (Commenti).

Rescigno. Se ha modo di contrastare, contrasti pure. Queste sono cifre e sono dati di fatto che hanno la loro realtà sul terreno e sono in ogni momento constatabili, come è constatabile che queste due province hanno il loro sbocco naturale nella città di Salerno, che è lo sbocco naturale di tutto il retroterra Irpino e Salernitano (Commenti a sinistra).

Mi dispiace per l'onorevole Sicignano, il quale è cittadino del Salernitano, che egli metta in dubbio questi dati di fatto, inoppugnabili e incontrovertibili.

E allora, onorevoli colleghi, si tratta di un problema di giustizia verso la nostra terra, di un problema di giustizia verso queste nostre province. Se volete che la riforma regionale sia veramente efficace e serva a cementare e non già a disgiungere, serva a limitare e non ad accrescere le forze centrifughe dello Stato, è necessario compiere questa creazione delle regioni con criteri di equità.

Solamente così si potrà creare quella solidarietà che deve essere a fondamento delle autonomie regionali.

È di ieri, onorevoli colleghi, la notizia riportata dai giornali, dalla stampa — alla quale stampa lasciate che io mandi da questa Assemblea il riconoscimento e il plauso per il contributo che ha portato, vasto, largo, a questo problema delle regioni: alla stampa di tutte le tendenze, anche quella indipendente — è di ieri, dicevo, la notizia che a Napoli, finanche i relitti delle navi affondate, sono stati oggetto di speculazione da parte di cittadini di altre regioni.

Non è con questo spirito che si deve creare la regione; la regione si deve creare con spirito di fratellanza e di solidarietà, se vogliamo che sia viva e vitale. (Approvazioni).

Onorevoli colleghi, ricorrerà nel settembre prossimo il centenario, non di un grande uomo né di un grande avvenimento, ma il centenario di un inno che squillò come un grido di resurrezione nell'Italia, agli albori del Risorgimento: l'inno del poeta soldato che morì tra un canto e una battaglia:

«Noi siamo da secoli — calpesti e derisi — perché non siam popolo — perché siam divisi». Signori, è ora di non essere più divisi; siamo un popolo e abbiamo bisogno di fratellanza e di solidarietà, ed è su queste basi che io vi prego di addivenire alla riforma regionale. (Applausi).

Tonello. Abbasso la regione! È una invenzione vostra! (Si ride).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti