[L'11 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Monticelli. [...] E infine mi sia concesso di soffermarmi sulla Corte costituzionale. È innegabile che, seguendo l'esempio degli Stati Uniti d'America, esempio seguito da quasi tutti gli ordinamenti costituzionali d'Europa, occorra creare una Corte suprema per la custodia della Costituzione, per la vigilanza sulla sua applicazione e per dirimere i conflitti fra i vari poteri dello Stato, per giudicare infine il Presidente della Repubblica e i Ministri.

Si tratta di creare un organo di superlegalità o, come comunemente si dice, si tratta di creare un superpotere. Ma occorre anche qui, secondo la mia opinione, evitare la formazione di un'Alta Corte di carattere politico, sia perché i compiti affidati alla Corte Costituzionale sono di carattere prevalentemente giuridico, sia perché le condizioni politiche e sociali dell'attuale vita italiana non tollererebbero mai una tale soluzione.

Si chiede che la Corte Costituzionale venga messa in condizioni di assoluta imparzialità, si chiede di avere la certezza del giudizio e che l'autorità che proviene da tale Corte sia la sola cui sia commessa l'interpretazione della legge. Onorevoli colleghi, come raggiungere tutto ciò? È questo un po' il problema del Consiglio Superiore della Magistratura, perché l'attuale soluzione, così come è prevista dall'articolo 127 del progetto di Costituzione, non mi soddisfa. Debbo anzi aggiungere che anche lo stesso emendamento da me proposto, dopo le discussioni che sono state fatte in questa Assemblea e che io ho accuratamente seguito, mi sembra ormai superato dalle discussioni stesse e da quelli che sono oggi conseguentemente i miei nuovi convincimenti.

Io ritengo che la soluzione migliore per una corretta interpretazione giuridica della Costituzione sia di fare in modo che la Corte costituzionale sia composta per un terzo di membri nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura, per un terzo dal Presidente della Repubblica e per l'altro terzo scelti dal Parlamento fra le tre categorie, però, di cui ho parlato prima a proposito del Consiglio Superiore della Magistratura, e cioè tra i magistrati dell'Ordine giudiziario e amministrativo, anche a riposo, i docenti universitari di diritto e gli avvocati dopo venti anni di professione. In tal modo la scelta viene ristretta ad un numero molto limitato e la composizione della Corte Costituzionale diviene veramente una garanzia per tutti.

[...]

Romano. [...] Corte costituzionale. — Desidero infine rivolgere viva preghiera all'Assemblea di meditare sull'articolo 127, che riguarda la formazione della Corte costituzionale.

Il magistrato, se vuole essere tale, non può per definizione assiomatica essere dipendente da alcun altro potere.

Ora mi domando come possono essere indipendenti e giudicare secondo coscienza uomini nominati a tempo dal Parlamento, ossia da partiti politici, uomini che dipendono per la loro rielezione dal Parlamento. Quando un giudice è l'espressione di una corrente politica, egli nel giudicare della costituzionalità delle leggi, avrà sempre la preoccupazione di recar danno a quel partito, dal quale ha ricevuto il suffragio.

Trovare una soluzione che tranquillizzi in pieno non è facile; ma deve riconoscersi che la garanzia maggiore ci può essere data dal magistrato ordinario, cioè dal magistrato nominato e promosso, trasferito e governato dal Corpo medesimo di cui fa parte.

[...]

Martino Gaetano. [...] Ciò che, piuttosto, è da discutere, è se convenga meglio affidare questo potere ai magistrati ordinari, o ad una corte particolare come quella prevista nel nostro progetto di Costituzione.

L'onorevole Einaudi vorrebbe che questo potere fosse affidato ai magistrati ordinari. La Corte costituzionale, se è, come è nel nostro progetto, espressione dell'Assemblea, può trasformarsi da organo giuridico in organo politico e, anziché servire a tutelare i diritti di libertà del cittadino, può contribuire a violare la Costituzione; può rappresentare cioè lo strumento legale per la violazione della Costituzione, interpretandola secondo le esigenze, le aspirazioni della parte politica dominante, in un determinato momento, nell'Assemblea. In altri termini, piuttosto che tutela sostanziale dei diritti di libertà del cittadino, essa potrebbe essere tutela formale delle esigenze di una determinata corrente politica.

È innegabile che il controllo costituzionale delle leggi conferisca contenuto politico agli atti del potere giudiziario. Del resto, questo lo dimostra anche l'esperienza fatta negli Stati Uniti d'America, dove il contenuto politico degli atti della Corte Suprema federale è stato talvolta così cospicuo, da giustificare l'espressione di «Governo dei giudici», con la quale da taluno è stato definito questo organo particolare della giustizia federale. Ma, è vero che, qualora questo controllo fosse affidato ai magistrati ordinari, i loro atti sarebbero sempre ispirati a criteri giuridici e non politici; che sarebbe eliminato il contenuto politico del controllo di costituzionalità delle leggi?

Onorevoli colleghi, io non lo credo. Il controllo giurisdizionale della costituzionalità delle leggi presuppone sempre — inevitabilmente — una indagine sui principî cui si informa la Costituzione, presuppone cioè la determinazione della realtà delle norme costituzionali. La componente politica nel giudizio di costituzionalità delle leggi mi pare pertanto sia sempre inevitabile, tanto nel caso che il controllo venga affidato a magistrati ordinari, quanto nel caso che esso venga invece affidato ad un collegio particolare, come quello previsto dal nostro progetto di Costituzione.

D'altra parte, come è stato segnalato, se non erro, dall'onorevole Mastrojanni, nonché da altri colleghi nel corso dei lavori della seconda Sottocommissione, l'affidare questo controllo ad un collegio particolare può rappresentare una garanzia per la certezza del diritto. Infatti, qualora questo compito venga affidato alla Magistratura ordinaria, l'eventuale dichiarazione di incostituzionalità di una legge si riferirà esclusivamente alla controversia specifica che ha dato origine alla dichiarazione di invalidità, mentre invece, quando questo compito venga affidato ad un organo particolare, la legge incostituzionale cesserà di aver vigore in tutto il territorio della Repubblica. Non si avrà dunque una giurisprudenza contrastante, non esisteranno dubbi sulla validità della legge, non sarà turbata la tranquillità giuridica dello Stato.

«Il dubbio sulla validità della legge — scrisse Orlando — scuote uno dei principî più essenziali alla tranquillità giuridica dello Stato». Ciò che occorre è conferire ai giudici della Corte costituzionale una indipendenza, un prestigio, una posizione adeguata all'alto compito che viene ad essi affidato.

Negli Stati Uniti d'America i giudici della Corte federale vengono nominati dal Presidente, il quale evidentemente si ispira molto spesso, per ovvie ragioni, a criteri politici nella sua scelta. Eppure, ciò nonostante, sono tali le prerogative sancite dalla Costituzione (inamovibilità, permanenza in carica per tutta la vita, ecc.), che i giudici possono mantenere, e mantengono, la loro indipendenza anche nei confronti di chi li ha nominati. Ed infatti i giudici che al principio del secolo XIX furono nominati da Jefferson, antifederalista, per farne quasi il contrapposto a Marshall, presidente della Corte Suprema Federale, che era accanito federalista, non esitarono a seguire molto spesso le direttive del Marshall contro lo stesso Jefferson che li aveva nominati.

Nel nostro caso, una garanzia di indipendenza si trova, a parer mio, nella lunga durata dell'ufficio prevista dall'articolo 127 del progetto, perché quando la durata dell'ufficio è di nove anni, mentre quella delle Assemblee legislative è di cinque o di sei, in sostanza viene ad essere evitato il pericolo della soggezione verso la maggioranza dell'Assemblea legislativa, e quindi del conformismo, da parte dei giudici eletti a quella carica dalla stessa Assemblea.

Tuttavia, per maggiore garanzia, io penso che non sarebbe mal fatto se si stabilisse il principio della non rieleggibilità dei giudici della Corte. Il desiderio, più che legittimo e naturale, di essere rieletti allo scadere dei nove anni, potrebbe indurre i giudici della Corte al conformismo, alla soggezione verso partiti politici dominanti in un determinato periodo nell'Assemblea o nel Paese; mentre la nozione che allo scadere dei nove anni, comunque e in ogni caso, cessa l'ufficio ricoperto, può renderli più autonomi, più indipendenti nelle loro funzioni.

Si può obiettare: ma così si verrebbe a privare il Paese dei servizi di persone — magistrati o avvocati o docenti di diritto — che hanno dimostrato di saperlo utilmente servire e che potrebbero ancora continuare a servirlo utilmente. Si può ricordare che negli Stati Uniti d'America si sono avuti casi di permanenza per lunghissimi periodi nella carica di giudice costituzionale (il Marshall, se non erro, stette in carica quasi 35 anni). Ma, anzitutto, negli Stati Uniti d'America i giudici della Corte Suprema federale vengono nominati a vita; e poi non mi sembra che in un paese di 46 milioni di abitanti come il nostro, sempre così ricco di magistrati e di cultori del diritto di eccezionale valore, possa rappresentare un serio inconveniente la sostituzione di poche persone nella carica di giudice costituzionale.

[...]

E qui viene in discussione il procedimento di revisione della Costituzione: perché, presupposto per l'efficienza della Corte costituzionale è che non sia possibile approvare leggi costituzionali se non attraverso una procedura complicata. Altrimenti il Parlamento potrebbe superare il contrasto con l'organo giudiziario approvando come legge costituzionale la legge eventualmente dichiarata invalida dalla Corte. Ma vi è un altro mezzo con il quale il Parlamento potrebbe mantenere in vita una legge incostituzionale e risolvere a proprio vantaggio il conflitto eventuale con la Corte. Il Parlamento potrebbe aumentare il numero dei giudici e nominare a quel posto persone fedeli a una determinata politica. E questo è già avvenuto del resto anche negli Stati Uniti d'America: i giudici della Corte suprema federale erano sei, poi diventarono sette nel 1807, poi diventarono nove nel 1837.

In due occasioni, nei famosi Legal tender cases e nel contrasto, non meno famoso, fra Roosevelt e la Corte Suprema federale all'epoca del New-Deal, fu appunto la nomina di nuovi giudici che servì a definire il conflitto, cioè a determinare la maggioranza a favore dell'organo legislativo. Di modo che mi sembra inopportuno, anzi pericoloso, demandare alla legislazione ordinaria, così come fa il nostro progetto di Costituzione all'articolo 129, il compito di determinare il numero dei giudici. Mi sembra assolutamente indispensabile che il numero dei giudici sia già fissato nella Costituzione. Ora, per quanto si riferisce alla composizione della Corte, l'articolo 127 già precisa che la Corte sarà composta per metà di magistrati, per un quarto di avvocati e docenti di diritto, per un quarto di cittadini eleggibili a ufficio politico. In tal modo la Corte verrebbe ad essere composta di un numero pari, mentre a me sembra opportuno che sia composta di un numero dispari di giudici. Inoltre, io vorrei proporre di diminuire un po' il numero degli elementi politici, appunto per accentuare ancor più il carattere giuridico e non politico della Corte. Io oserei proporre che la Corte fosse composta di sette magistrati, cinque avvocati docenti di diritto e tre cittadini eleggibili ad ufficio politico.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti