[Il 19 maggio 1947 l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del Titolo quarto della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti politici».

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alla sezione delle appendici contenente le discussioni generali del Titolo per il testo completo della discussione.]

Rodi. [...] E qui entriamo nell'articolo 50, nel quale è sancita — nientemeno — la resistenza all'oppressione. Naturalmente, io non ricerco la parte ideale di questo articolo o di questo comma, perché, idealmente parlando, è chiaro che ciascun popolo della terra ha diritto a ribellarsi contro chi violi le leggi fondamentali della libertà e contro chi tenti, comunque, di instaurare una dittatura. Ma questo principio ideale, signori, non può essere sancito da una Costituzione, per le ragioni che dirò appresso. Perché io non voglio chiamare questo capoverso un vero e proprio riconoscimento del diritto rivoluzionario, ma, comunque, ha qualche cosa di simile, perché è come se noi dicessimo ad un popolo che, qualora un determinato Governo tentasse di instaurare una forma dittatoriale, esso ha il diritto di ribellarsi. Ebbene, il diritto c'è; ogni popolo civile deve ribellarsi alla dittatura; ma se scendiamo da questa concezione ideale alla pratica, noi possiamo — o potremo — trovarci di fronte ad un pericolo non indifferente.

La resistenza di questo popolo contro l'oppressione da chi è organizzata? Evidentemente l'organizzazione di una simile resistenza non può essere esercitata che da un ente politico, il quale ente politico — come sappiamo per esperienza — ha sempre le sue particolari vedute; ed è molto probabile che questo ente politico, per perseguire propri fini e propri intenti, interpreti in maniera non del tutto serena e non del tutto imparziale certi atti d'un governo; e noi potremmo trovarci di fronte al gravissimo problema di un ente politico che, non vedendo sancite le proprie ideologie da un governo, lo consideri violatore delle libertà fondamentali e provochi la ribellione del popolo contro questo governo.

Perché la ribellione del popolo, per quanto possa essere istintiva, dev'essere organizzata; ed è su questa organizzazione che desidero fermare la vostra attenzione, e soprattutto sull'ente che organizza e sulle interpretazioni che si vogliono evitare. E quindi, sancire nella Costituzione questo diritto alla ribellione è come dare un'arma ad un qualsiasi ente politico, in un qualsiasi momento della nostra storia politica, per consentire che una frazione di popolo si ribelli contro il governo.

E perché? La resistenza all'oppressione non è che un fatto storico, il quale nasce spontaneamente dagli eventi; e noi non possiamo in anticipo prevedere un simile evento e addirittura preparare l'organizzazione acché questo evento segua un corso anziché un altro.

Perciò, anche per questo capoverso ho proposto la soppressione.

[...]

Caristia. [...] Dovrei, arrivato a questo punto, aggiungere qualche parola intorno al comma secondo dell'articolo 50, in cui si riconosce e si regola un diritto, che si può riconoscere, ma che non si sa come si potrebbe effettivamente regolare. La qual cosa richiederebbe un discorso per lo meno tanto lungo quanto quello che ho fatto.

Uno dei nostri più eminenti colleghi, Vittorio Emanuele Orlando, maestro insigne al quale mi è grato rivolgere un saluto augurale, si è occupato, da par suo, in una apposita monografia, dell'argomento, e altri dopo di lui se ne sono occupati. E sarebbe fuor di luogo seguire, sia pure per sommi capi, nelle varie correnti e nelle diverse sfumature, questa dottrina, che si è espressa per secoli, in una letteratura abbondantissima, che culminò nell'opera dei così detti monarcomachi.

Nell'articolo 50 è un lontano riverbero di quest'opera, alla quale collaborarono cattolici e protestanti, intesa a costruire un diritto alla resistenza contro il tiranno, o, come oggi diremmo, contro il potere illegale. Ma, mentre in essa il diritto è configurato con precisione e una ricchezza di particolari sorprendenti, la nostra Costituzione si esprime — e non poteva accadere altrimenti — in termini vaghi ed equivoci. E in verità mal si comprende come in un Paese retto liberamente, ove i mezzi di opporsi al tentativo di sopprimere le garanzie fondamentali della vita civile sono così vistosi e numerosi — stampa, pubbliche riunioni, dibattiti parlamentari, ecc. — possa rigorosamente configurarsi un diritto alla resistenza individuale o collettiva. Nel primo caso, resistenza individuale, la difesa contro l'arbitrio potrebbe venire da una maggiore estensione del principio della responsabilità dei funzionari; nel secondo, resistenza collettiva, si ha la configurazione di un diritto e dovere per lo meno superflua; giacché, come la storia insegna, la resistenza sarà efficace se il popolo sentirà, profondo, il bisogno di serbarsi in libertà e mancherà del tutto, ad onta della solenne proclamazione, se un tal bisogno sarà comunque attutito o attenuato.

[...]

Bencivenga. [...] Ed ora, visto che il tempo stringe, un breve cenno sulla questione delicata dell'esercizio dei diritti civili da parte dei cittadini che adempiono all'obbligo del servizio militare; diritto sancito dal secondo capoverso dell'articolo 49. Se la legge elettorale dovesse informarsi, come dovrebbe, a questa disposizione, nessuno potrebbe evitare che caserme, aeroporti e navi si trasformassero in palestre di discussioni politiche, con le gravi conseguenze che ognuno può immaginare!

Di conseguenza io penso che dovrebbe essere espressamente vietato dalla legge, agli ufficiali e sottufficiali in servizio attivo permanente, di far parte di partiti politici e di accettare candidature nelle elezioni politiche.

La gravità del mio rilievo risulta evidente quando il disposto dell'articolo 49 lo si metta in relazione con il secondo comma dell'articolo 50. Lo ricordo: «Quando i poteri politici violino le libertà fondamentali ed i diritti (e richiamo l'attenzione su questa parola!) garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino».

Autorevoli colleghi hanno rilevato, nel corso delle precedenti discussioni, come la nostra Costituzione garantisca troppi diritti, che certo non potranno all'atto pratico essere garantiti. Lascio ai colleghi che hanno proposto, come emendamento, la soppressione di questo comma, sviluppare l'argomento; io mi limito a chiedere: questo diritto sarà pure esteso alle forze armate? Non credo di dover spendere molte parole per dimostrare i pericoli che dall'esercizio di questo diritto deriverebbero.

Ricorderò ai colleghi che hanno i capelli bianchi (e invito i giovani ad informarsi al riguardo) che la così detta marcia su Roma del fascismo fu coronata dal successo soltanto per il dubbio, avanzato dal maresciallo Diaz, circa il comportamento dell'esercito nel caso fosse stato decretato lo stato di assedio!

Dubbio infondato, ma che tuttavia bastò per aprire a queste forze rivoluzionarie le porte della capitale, e permettere la conquista del potere.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti