[Il 21 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quarto della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti politici».

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alla sezione delle appendici contenente le discussioni generali del Titolo per il testo completo della discussione.]

Condorelli. [...] Quello, poi, che merita una particolare attenzione è il secondo comma di questo articolo, nel quale c'è un errore tecnico, che non è solo errore tecnico che disadorna e forse compromette la venustà della nostra Costituzione, ma che è politicamente pericoloso: il famoso diritto di resistenza.

Il diritto di resistenza non è certamente una trovata della nostra Assemblea. È una vecchia dottrina, ed è una dottrina contro la quale non posso avere preconcetti di scuola, perché il primo formulatore e teorico scientifico di questa dottrina è Locke, che a ragione fu chiamato il padre del liberalismo. Giustamente, dicevo, il Locke primo teorico di questa dottrina, perché egli ha certamente la paternità scientifica di questa, che come dottrina morale e para-giuridica è però antica, in quanto rimonta al Medio-Evo con le lunghe dissertazioni de tiramno e de tiramnicidio. Si costruì una complicata teoria sul tirannicidio. Ricordiamo Coluccio Salutati, e sopra tutto, non per il tirannicidio, perché a questo egli non giunse, ma per la teoria della resistenza, il Dottore Angelico, vale a dire San Tommaso d'Aquino. Sopra tutto per la famosa tripartizione del diritto in lex humana, lex naturalis e lex divina, e dei rapporti che tra queste varie leggi vi sono, e dei conflitti che sorgono tra la legge umana e le altre superiori leggi. Pose così l'Aquinate la legittimazione della resistenza, allorché la lex humana contraddiceva la lex divina.

Ripeto: in me non è nessun preconcetto di scuola né politica, né religiosa, contro questa dottrina del diritto di resistenza. La mia opposizione è materiata soltanto da concetti e da esigenze concettuali scientifiche e politiche. Esaminiamo la portata di questo articolo.

Il diritto di resistenza è ammesso, dal progetto, contro l'azione di tutti i poteri pubblici, nessuno escluso, perché si parla in genere di «pubblici poteri i quali violino le libertà fondamentali od i diritti concessi o protetti dalla Costituzione». Dunque resistenza contro gli atti violatori, da qualunque potere pubblico essi provengano, sia dal potere legislativo, che dal potere esecutivo, che dal potere giudiziario. Non c'è esclusione. Perciò insorgenza eventuale non soltanto contro gli atti del Governo o della pubblica amministrazione, ma anche contro atti della autorità giudiziaria e contro la legge stessa! Questo indubbiamente significa! Prospettiamoci tutta la infinità di ipotesi di resistenza individuale o collettiva, attiva o passiva, che può fare l'individuo o il cittadino, come singolo o come complesso, di fronte alle violazioni che provengano dalla legge o da atti singoli del pubblico potere. Certo non esaminiamo l'infinita gamma di tutte queste ipotesi, ma basta raggrupparle.

Esamino da principio il diritto di resistenza di fronte agli atti singoli, cioè di fronte agli atti del potere esecutivo e del potere giudiziario. Esamineremo poi questa posizione di resistenza del cittadino di fronte agli atti del potere legislativo, cioè degli atti che si concretano nella posizione di una norma generale, che è un comando di una classe di azione, e non di un'azione determinata, o di legittimazione di un'azione determinata. Qui le ipotesi che si possono fare sono sostanzialmente quattro: un atto nullo o giuridicamente inesistente, perché mancante di un requisito essenziale per la sua esistenza, posto in essere da una pubblica autorità (per esempio, una sentenza emessa da un sindaco; una deliberazione comunale presa da un primo presidente di Corte d'appello). Evidentemente, questo è un atto inesistente giuridicamente. Non vi è dubbio che il subordinato alla legge ha la possibilità di resistere ad un atto di questo genere; ha la possibilità, la facoltà di non obbedire ad una disposizione di questo genere. Ma questo — me ne dia atto l'onorevole Ruini, grande maestro di queste discipline — non è il diritto di resistenza; questa è l'esplicazione della libertà o del diritto che quell'atto giuridicamente inesistente voleva violare, ma non è riuscito a violare perché non ha esistenza. Io ho agito nel mondo del diritto come se quell'atto non fosse esistito; io non ho esercitato un diritto di resistenza ma ho invece esercitato quel tale diritto o quella tale libertà contro cui si appuntava la pubblica amministrazione.

Un'altra ipotesi è quella dell'atto non nullo ma annullabile, cioè dell'atto che può essere annullato dopo un procedimento giudiziario o amministrativo. E qui le ipotesi sono due: o questi atti sono esecutori o non lo sono. Se non lo sono, evidentemente io ho la possibilità giuridica di disobbedire. Ovviamente. Ma qui, al solito, non vi è affatto il diritto di resistenza; io non ho di fronte a me un ostacolo giuridico a cui resistere; è l'esplicazione di quella tale mia libertà, di quel tale mio diritto contro cui l'atto annullabile è diretto. Vi è invece l'ipotesi dell'atto annullabile ma esecutorio. Ed allora, di fronte all'atto annullabile esecutorio la mia insorgenza contro l'esecutorietà — che naturalmente deve nascere da legge — vale come insorgenza contro la legge.

Io divento in fondo giudice in causa mia, divento giudice della mia causa. Tutto ciò è profondamente contraddittorio. In fondo, se ci si pone per questa via, lo stesso giudicato non direbbe nulla, perché dopo che il magistrato avesse deciso, io potrei dire: ma quest'atto, siccome è ingiusto, questa sentenza, siccome è ingiusta, io non li voglio seguire. Quest'atto, per quanto conforme alla legge nella sua essenza di atto, ma contrario alla legge per il suo contenuto, perché viola una libertà fondamentale od un diritto riconosciuto dalla Costituzione, non ha per me alcun valore ed io vi resisto.

Questa è inammissibile sovrapposizione del singolo al giudicato ed all'atto amministrativo. È semplicemente contraddittorio affermare il valore di questi atti e poi dare facoltà all'individuo di insorgere contro di essi.

In fondo, sia che si tratti di atti ormai definitivi o soltanto esecutori, ma contrari alla legge, sia che si tratti di atti esecutivi conformi alla legge, ma ad una legge che violi i diritti fondamentali e le libertà fondamentali del cittadino, il problema è sempre quello: del valore obbligatorio della legge, della possibilità che ha il singolo di insorgere di fronte alla legge, o della possibilità che ha la collettività di insorgere.

Ora, è sommamente contraddittorio ed addirittura anarchico pensare che gli individui, come singoli, o anche associati al di fuori degli organi predisposti dall'ordine giuridico per esprimere unitariamente la volontà popolare, questi individui amorfamente riuniti, possano distruggere il valore obbligante della legge. Questo valore, come potremo stabilire a proposito delle garanzie costituzionali, si potrebbe distruggere attraverso, per esempio, la Corte costituzionale, o attraverso una dichiarazione di incostituzionalità della autorità giudiziaria. Ma il giudizio che dovrebbero dare i singoli, che potrebbero sospendere in ogni istante il valore della legge, è semplicemente una qualche cosa che non può entrare in nessuna mente sensata, perché è contraddittorio con lo stesso concetto di legge. Bisogna riconoscere che questo diritto di resistenza, che si manifesta attraverso insurrezioni, colpi di Stato, rivoluzioni, non è un diritto ma è la stessa realtà storica, la sola che abbia il potere di investire e di deporre. Sono fatti jurigeni, sono perciò fatti logicamente anteriori al diritto. Perché un colpo di Stato od una insurrezione che si affermino, una rivoluzione che veramente «revolva», creano un nuovo ordinamento giuridico. Questa è la storia che passa, dinanzi alla quale il legislatore è impotente. Egli, se la vuole regolare, può solo commettere delle ingenuità» degli errori. (Applausi a destra Congratulazioni).

[...]

Presidente Terracini. Dichiaro chiusa la discussione generale. Ha facoltà di parlare il Relatore, onorevole Merlin Umberto.

Merlin Umberto, Relatore. [...] E vengo all'ultima parte, la seconda parte. Io qui debbo tranquillizzare le coscienze dubbiose di parecchi dei colleghi del mio Gruppo. L'onorevole Terranova, per esempio, mi vuole mettere perfino in contrasto con la dottrina cattolica. Ora, ha fatto benissimo l'onorevole Condorelli a ricordare San Tommaso d'Aquino, perché in San Tommaso d'Aquino io leggo queste parole: «In terzo luogo bisogna dire che il regime tirannico non è giusto perché non è ordinato al bene comune, ma al bene privato di colui che governa. Per tale ragione il sovvertimento di questo regime non ha carattere di sedizione». Ecco il pensiero che è trasfuso in questo articolo e che deve tranquillizzare non solo i miei amici democristiani ma, vorrei dire, deve persuadere anche il collega onorevole Condorelli. Perché ricordiamoci tutti: chi c'è stato fra i moralisti cattolici che abbia trovato da ridire sul movimento dei partigiani? Chi non ha riconosciuto invece la legittimità di questo movimento contro un regime tirannico, che voleva imporsi con le baionette straniere e con la violenza e voleva ancora governare non per la salvezza del Paese ma per la fortuna di un uomo? Nessuno c'è stato mai che abbia voluto indubbiare la liceità di questo movimento. E allora lei, onorevole Condorelli, non mi faccia tutta quella casistica che mi ha fatto oggi nel suo eloquente discorso per combattere l'articolo 50!

Quei casi non si riferiscono all'articolo 50; quei casi ammettono una tutela e una difesa giurisdizionale sia davanti ai magistrati sia davanti alla giustizia amministrativa, e qui abbiamo il collega onorevole Ruini che potrà eventualmente intervenire, con l'autorità che gli è particolare e per l'alto ufficio che occupa, per chiarire questo punto. Qui, in questo articolo, noi abbiamo affermato invece il diritto legittimo di difesa contro gli atti della pubblica autorità che violino le libertà fondamentali del cittadino, abbiamo fatto una ipotesi del tutto analoga a quella del 1943, quando il tiranno uscì da ogni limite e dimostrò con i fatti di voler togliere ai cittadini ogni libertà ed ogni diritto.

Del resto, voi credete che questo principio sia del tutto nuovo? Io ricordo che nell'articolo 199 del Codice Zanardelli, sia pure in embrione, vi era lo stesso principio perché diceva: «Le disposizioni contenute negli articoli precedenti (oltraggio, violenza o minaccia a pubblico ufficiale) non si applicano quando il pubblico ufficiale abbia dato causa al fatto eccedendo con atti arbitrari i limiti della sua funzione». È il principio del vim vi repellere licet affermato dal Codice penale contro il pubblico ufficiale. Il Codice Rocco naturalmente ha abolito tutto questo ed il Ministro Tupini, dopo la liberazione, ha ripristinato quella disposizione col decreto 14 settembre 1944, n. 288.

Quindi credetelo: l'articolo 50 — capoverso 1° — non è che favorisca le rivoluzioni e le rivolte. Io auguro che non ci siano queste rivoluzioni, io auguro che non ci siano queste rivolte; ma se esse dovessero scoppiare, ciò non avverrà per l'articolo 50 ma per ben altre cause e per ben altre ragioni. L'articolo 50 sarà invece un monito per i pubblici poteri: dirà a tutti che non è possibile offendere queste libertà fondamentali del cittadino. E anche se fu detto che noi vogliamo trasformare questa legge in un trattato di pedagogia, è bene abbondare e ricordare a tutti quale è il loro dovere.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti