[Il 23 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo quarto della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti politici».

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 54 per il testo completo della discussione.]

Presidente Terracini. [...] Passiamo ora all'articolo 50:

«Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, di osservarne la Costituzione e le leggi, di adempiere con disciplina ed onore le funzioni che gli sono affidate.

«Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino».

[...]

Presidente Terracini. [...] L'onorevole Mastino Pietro ha proposto di sostituire l'articolo 50 col seguente:

«Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, di osservarne e farne osservare la Costituzione e le leggi, di adempiere, con disciplina ed onore, le funzioni che gli sono affidate, ed ha l'obbligo di difendere, contro ogni violazione, le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l'ordinamento dello Stato».

L'onorevole Mastino ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

Mastino Pietro. L'emendamento da me proposto si riferisce alla seconda parte dell'articolo 50, a quella parte, cioè, che prevede e stabilisce il diritto del cittadino alla resistenza alla oppressione.

È innegabile l'audacia, nel campo del diritto costituzionale, di una affermazione del genere. Poiché, se è concepibile, sotto un punto di vista non solo dottrinario, il diritto alla resistenza e alla ribellione dell'individuo, è veramente audace fissare in una Costituzione, come diritto costituzionale, quello della resistenza e della ribellione collettiva.

Io non oppongo una assoluta eccezione a che un concetto del genere venga affermato nell'articolo 50, ma intendo, col mio emendamento, giungere, non alla soppressione del concetto, ma ad una formulazione più precisa e più rispondente alla natura d'una legge statutaria.

Ciascuno di noi intende il perché psicologico dell'articolo 50.

Concetti del genere sorsero sempre dopo periodi di rivoluzione, quando il popolo credette di potere trionfalmente affermare la propria vittoria.

Ad esempio, dopo la lotta di indipendenza americana, nello Statuto fu introdotto il diritto in discussione.

Anche nella Convenzione, nella Costituzione del 1793, fu affermato lo stesso concetto; anzi, ho l'impressione che la formula usata nel capoverso dell'articolo 50 ne sia la traduzione letterale.

È ben naturale che oggi, dopo che l'Italia è risorta dal travaglio, dai sacrifici e dalla barbarie del periodo fascista, un concetto del genere riappaia anche nella nostra Costituzione.

Alcuni giorni or sono, in proposito, ha parlato l'onorevole Condorelli, il quale, nel criticare la formulazione ed il contenuto del capoverso, mi è parso abbia voluto quasi negare la fondatezza d'un diritto di resistenza, non solo collettiva ma anche individuale. Giustamente l'onorevole Merlin fece rilevare come l'affermazione dell'onorevole Condorelli fosse in contrasto colle stesse norme codificate dal Codice penale; ricordo, fra l'altro, l'articolo 199 del passato Codice penale, che riconosceva il diritto di resistenza del privato cittadino quando fosse legittimata da un atto di violenza esercitato da chi fosse rivestito di pubblica autorità. Criterio, mi permetto di soggiungere, che venne riaffermato anche dal fascismo, perché se è vero che il codice Rocco non ripropose le disposizioni dell'articolo 199, di cui ho parlato, è vero anche che non le riprodusse in quanto con l'articolo 52 dello stesso codice allargò il criterio della resistenza, portandola dal campo della difesa personale o, in determinati casi, della proprietà privata, al campo della difesa di tutti i diritti. Quindi il concetto fu affermato anche sotto il fascismo.

L'importante però è che noi questo concetto vogliamo affermarlo come diritto di resistenza politica. E io dico che dobbiamo affermarlo, ma sotto un'altra forma, e precisamente in quella che mi pare chiaramente espressa nell'emendamento che ho presentato; cioè: «Ogni cittadino ha l'obbligo di difendere contro ogni violazione le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l'ordinamento dello Stato».

Non è tanto un diritto, quanto un dovere; non è tanto un diritto accordato nell'interesse dell'individuo, quanto un dovere imposto nell'interesse della collettività. Sopratutto questo, onorevoli colleghi, porta ad una conseguenza pratica molto chiara, della quale dobbiamo sommamente preoccuparci: evitare la possibilità che sotto il pretesto della violazione delle libertà fondamentali e dei diritti garantiti dalla Costituzione si pretenda di sovvertire lo Stato, intendendo per Stato la Repubblica. Ecco perché credo che si debba sostituire la formula da me proposta. Con essa infatti i diritti dei cittadini indicati nella prima parte della Costituzione verrebbero completati coi doveri; diritti e doveri, tra i quali questo formulato nell'articolo 50 secondo la dizione da me proposta, si integrerebbero fra loro, presidiati dalla Corte costituzionale, quale supremo organo per il regolamento dei diritti e dei doveri fra i cittadini e lo Stato. (Applausi).

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Mortati:

«Sostituirlo col seguente:

«È diritto e dovere dei cittadini, singoli o associati, la resistenza che si renda necessaria a reprimere la violazione dei diritti individuali e delle libertà democratiche da parte delle pubbliche autorità».

L'onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

Mortati. Il mio emendamento ha uno scopo di chiarificazione formale del testo della Commissione. Esso ha di mira, da un lato, di distinguere l'aspetto della resistenza individuale da quello della resistenza collettiva; e, dall'altro, di mettere in rilievo il carattere di necessità che questa resistenza deve avere, onde potere considerarsi legittima. Essendo chiare le ragioni dell'emendamento, credo inutile di dilungarmi nell'illustrarle.

Presidente Terracini. Mi permetta, onorevole Mortati: allora il suo emendamento è sostitutivo solo del secondo comma?

Mortati. La mia proposta tendeva anche alla soppressione del primo comma del testo originario dell'articolo del progetto. Ma non insisto su questa parte.

Presidente Terracini. Sta bene.

[...]

Presidente Terracini. [...] Segue l'emendamento dell'onorevole Colitto:

«Sopprimere il secondo comma».

L'onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

Colitto. Non trovo difficoltà a dichiarare che sarei disposto a rinunziare al mio emendamento se, dalla parola cortese dell'onorevole Merlin, ricevessi chiarimenti ai dubbi, che sono sorti nel mio animo, allorquando per la prima volta ho letto la norma di cui ci stiamo occupando.

Io ho chiesto la soppressione del secondo comma dell'articolo 50.

Questo secondo comma è così redatto: «Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino».

Presa nel suo insieme, questa norma vuol dire che, in caso di oppressione, il cittadino non soffra, non taccia, ma si ribelli, non creda, non obbedisca, ma reagisca.

La norma afferma che ne ha il «diritto», anzi, è un suo «dovere».

Evidentemente è il recente passato, che ha spinto la Commissione ad enunciare questa norma, a desiderare che essa fosse nella Costituzione, quasi una diga di fronte al pericolo di nuove oppressioni.

E l'onorevole Ruini non l'ha taciuto nella sua dotta relazione.

Si legge in essa: «Venne da alcuni espresso il dubbio se in una Costituzione, che presuppone si basi sulla legalità, possa trovare posto il diritto o piuttosto il fatto della rivolta.

«Ha anche qui influito il ricordo di recenti vicende ed è prevalsa la tesi che la resistenza all'oppressione è un diritto ed un dovere».

Presa nel suo insieme la norma apparisce, pertanto, come un incitamento ai cittadini, che sono pavidi di fronte alla oppressione ed alla tirannide, e costituisce altresì un monito severo ai pubblici poteri.

Io non credo che possa essere sopravalutata l'importanza della norma, perché è evidente che ove la tirannide trionfi, non sarà certo una breve norma costituzionale a salvare i cittadini ed il Paese.

Sarei portato, comunque, a mantenere la norma, appunto come un incitamento e come monito, se nel mio animo non fossero sorti alcuni dubbi.

Quali sono i pubblici poteri, di cui si parla in essa?

Non vi è dubbio che la norma si riferisce anzitutto al potere esecutivo. Ora certamente il cittadino ha sempre il diritto di opporsi al pubblico funzionario che, travalicando i limiti segnati dalla legge, conculchi il diritto del cittadino. Questo, come diceva dianzi l'onorevole Mastino, è già consacrato nella nostra legislazione, e a questo proposito, anche l'onorevole Merlin ricordava ieri l'articolo 199 del codice Zanardelli.

Giustamente l'onorevole Mastino diceva che quelle norme sono, in sostanza, rimaste in vigore anche durante il periodo fascista, essendosi, in loro vece, fatto ricorso all'articolo 52 del codice penale.

Il cittadino non può essere punito per il delitto di oltraggio, e per quello di resistenza a pubblico ufficiale, ove il pubblico ufficiale abbia superato i limiti delle sue attribuzioni, violando le norme di diritto, che dette attribuzioni gli assegnano.

Da questo punto di vista, niente di strano che nella Costituzione si consacri una norma generale, nella quale le disposizioni, che sono già nella legislazione penale, trovino il loro inquadramento, e niente di strano che nella Costituzione, a fianco di un diritto, si parli di un dovere. Il cittadino ha il diritto di opporsi. Può senza danno affermarsi altresì che il cittadino ha il dovere di opporsi.

Ma «pubblici poteri» sono anche il potere giudiziario ed il potere legislativo.

Ora, in che cosa — ecco il mio dubbio — consiste il diritto di resistenza, allorché il pubblico potere è il potere giudiziario od allorché il pubblico potere è quello legislativo? Il cittadino, secondo la norma di cui ci stiamo occupando, avrebbe non solo il diritto, ma addirittura il dovere di opporsi ad essi ove egli ritenesse di trovarsi di fronte ad una violazione di diritti garantiti dalla Costituzione? Che significa questo? All'interrogativo non ho saputo nella mia coscienza dare una risposta. Tutte le risposte che mi sono passate dinanzi la mente, mi sono sembrate affermazioni quanto mai aberranti. Perché? Ma perché contro la sentenza del magistrato io non vedo che i gravami, tassativamente indicati dalla legge, e contro la legge non so concepire resistenze di nessun genere. Per la legge non c'è, a mio modesto avviso, che l'obbedienza.

Io non sono d'accordo con quelli che affermano che legittima e doverosa è la resistenza, quando la legge è ingiusta. Lex iniusta, si dice, non est lex, e perciò non obbliga, perché nessuno può essere obbligato ad obbedire all'ingiusto comando. Io penso, invece, che qualunque sia il motivo, da cui un cittadino possa essere indotto a disobbedire alla legge, legittimamente emanata, quel cittadino deve essere sempre considerato un ribelle e trattato come tale. Ma cosa significa, ad ogni modo, che il cittadino ha il diritto di resistere alla legge? Può egli mai diventare il giudice del legislatore ed agire di conseguenza? Un altro dubbio. Che interpretazione bisogna dare della norma, quando la si considera in relazione a quei particolari diritti, pure consacrati nella Costituzione, e che l'onorevole Ruini nella sua relazione chiama diritti potenziali? Si pensi al diritto al lavoro riconosciuto dalla Repubblica a tutti i cittadini; all'impegno, assunto dalla Repubblica, di assicurare alla famiglia le condizioni economiche necessarie, non solo alla sua formazione, ma al suo sviluppo; al diritto riconosciuto agli inabili al lavoro, sprovvisti dei mezzi necessari alla vita, di avere il mantenimento e l'assistenza sociale. Ora, nell'ipotesi in cui la Repubblica non abbia la possibilità di mantenere questi impegni, non abbia, cioè, la possibilità, come diceva l'onorevole Nitti, di pagare tante cambiali firmate in bianco, il cittadino avrà il diritto e il dovere, come dice la norma, di insorgere contro i pubblici poteri? Potrà insorgere contro il Parlamento, perché non fa le leggi, o contro il Governo, perché non le attua? A tutti questi interrogativi non avendo saputo trovare risposta convincente, noi abbiamo affermato, occupandoci di questo articolo, che ci sembra che esso consacri il diritto alla ribellione. Ed ecco perché ne chiediamo la soppressione. La sua applicazione pratica, nella realtà della vita, che è quella che è, e non quella che dovrebbe essere, potrebbe dar luogo a tali inconvenienti, a così strane ed impensate applicazioni, che certamente ne deriverebbe danno per la compagine sociale, che la Costituzione mira, invece, in ogni momento a salvaguardare.

Un ultimo rilievo. È proprio esatto, e mi riattacco a quanto diceva ieri l'altro l'onorevole Condorelli, che si possa, da un punto di vista squisitamente giuridico, parlare di diritto di resistenza? Noi dobbiamo proporci, egregi colleghi, questa domanda, perché qui è l'Italia, che sta redigendo la Costituzione, e l'Italia è maestra di diritto! La più recente dottrina giuspubblicistica ha affermato che non esiste un diritto di resistenza, che si possa porre a fianco degli altri diritti di libertà.

Chi resiste all'aggressione tutela la sua libertà. E, quando poco fa l'onorevole Mastino diceva che durante il passato regime si è applicato l'articolo 52 del Codice penale in sostituzione dell'articolo 192 del Codice Zanardelli, riaffermava proprio il mio concetto: non c'è un vero e proprio diritto di resistenza, perché chi resiste all'aggressione non fa altro che tutelare la propria libertà. Il diritto di resistenza non è che l'estrinsecazione del diritto di libertà che è stato aggredito. E allora, perché dovremmo proprio noi parlare nella Costituzione del 1947 di un diritto di resistenza, che non esiste?

Quanto affermo è ben noto all'onorevole Ruini. Dalla sua relazione traspare in maniera evidentissima. Egli parla, infatti, in essa di «idea di resistenza all'oppressione, rivendicata da teorie e da Carte antichissime». Di un diritto di resistenza si è parlato adunque in passato; ma la dottrina giuspubblicistica afferma che non esattamente si parla di diritto di resistenza.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ne ha parlato anche un procuratore generale della Corte di Cassazione in un libro, alcune diecine di anni fa.

Colitto. Venti anni fa. Sta bene. Ma da allora si è percorsa parecchia strada. È perciò che io sarei molto lieto, se dai lavori dell'Assemblea Costituente risultasse con chiarezza che la Costituzione ha riconosciuto che quelle Carte antichissime consacrano teorie non esatte e che la nuova Carta consacra, invece, quella che è, in materia, una conquista precisa del pensiero giuridico italiano. (Applausi a destra).

Presidente Terracini. Anche gli onorevoli Bozzi e Crispo hanno proposto un emendamento per sopprimere il secondo comma.

In assenza dell'onorevole Bozzi, l'onorevole Crispo ha facoltà di svolgerlo.

Crispo. Dichiaro di rinunziare all'emendamento e di aderire a quello dell'onorevole Mortati.

Presidente Terracini. L'onorevole Bosco Lucarelli ha proposto pure di sopprimere il secondo comma. Ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Bosco Lucarelli. Lo mantengo, ma rinunzio a svolgerlo.

Presidente Terracini. Rammento che sono già stati svolti i seguenti emendamenti:

«Sopprimere il secondo comma.

«Rodi».

«Sopprimere il secondo comma.

«Subordinatamente, rinviarne l'esame al momento della discussione del Titolo VI della II Parte.

«Sullo».

Io mi domando, onorevoli colleghi, che cosa sarebbe di questa stessa sovrana Assemblea, se l'ordine non fosse rispettato e se le norme regolamentari non fossero disciplinate nel loro esercizio dall'autorità del nostro egregio Presidente. Ora, io non nego che al cittadino debba riconoscersi il diritto nello Stato della difesa delle libertà garantite dalla Costituzione, nell'interesse proprio e in quello della collettività nazionale; ma la tutela del proprio diritto deve essere da ciascuno esercitata nell'ambito, nei confini delle norme che nella Costituzione stessa sono consacrate.

Non si parli della nobile lotta partigiana, non si parli della rivolta all'oppressione che in un determinato momento storico può verificarsi nell'ambito di una società politica: in quei casi noi siamo fuori — come bene ha rilevato l'onorevole Condorelli — dalla realtà del diritto. Possiamo essere nei confini di una realtà storica, ma al di fuori del diritto; siamo in un sistema di fatti che potranno anche soverchiare il diritto, ma contro i quali il diritto potrà anche resistere, come è avvenuto per la stessa rivoluzione fascista, la quale, sia pure a distanza di venti anni, ha trovato resistenza nel corpo sociale, negli organi costituzionali dello Stato.

Se noi ricorriamo a questi esempi, come potremmo noi ammettere — e naturalmente non sarebbe mai nelle nostre intenzioni affermare il contrario — che un'abissale differenza intercorre fra la nobile guerra partigiana e il colpo di Stato del 1922?

Ora, nell'emendamento che io subordinatamente propongo, forse si potrebbe vedere qualche cosa di superfluo, perché — come l'onorevole Mastino e l'onorevole Colitto poco fa spiegavano — già nella legge c'è per l'individuo la tutela dell'esercizio del proprio diritto, c'è un ampio potere di legittima difesa che proviene dal Codice Zanardelli, ed era anche affermato nel Codice fascista. Ma, comunque, nella formulazione da me proposta si richiama il cittadino nei limiti della legge, perché non lo si sottrae a quel potere giudiziario che è chiamato a valutarne la condotta, o alla futura Corte costituzionale, se detta funzione sarà deferita ad altro istituto. Quando si fa l'ipotesi di esercizio del proprio diritto o di difesa legittima del proprio diritto, si configurano nella legge particolari casi di non punibilità. Il fatto resta nella sua anormalità, perché fuori del diritto; però viene sottoposto al sindacato degli organi che costituzionalmente sono fissati nella legge; e se veramente il cittadino ha agito per difendere il proprio diritto, per far rispettare quella libertà che la Costituzione gli garantisce, allora verseremo in un caso di non punibilità; ma — ripeto — non si verificherebbe l'enormità di un cittadino che si fa giudice delle leggi del proprio Paese, sibbene l'ipotesi di un cittadino che opera intenzionalmente nell'interesse proprio e dello Stato, nell'interesse individuale e nell'interesse collettivo, e dei suoi atti, quali che siano, risponde dinanzi agli organi costituiti dello Stato.

Ecco perché nell'emendamento da me presentato subordinatamente — se si deve mantenere il secondo comma dell'articolo 50 — propongo che la formulazione sia rettificata in questo senso: che non è punibile la resistenza ai poteri pubblici nei casi di violazione delle libertà fondamentali garentite dalla Costituzione. Casi, ripeto, di non punibilità, ma non di sottrazione del cittadino ai controlli, che la Costituzione stabilisce nell'interesse dell'intera società nazionale. (Approvazioni).

Presidente Terracini. Anche l'onorevole Della Seta ha proposto di sopprimere il secondo comma dell'articolo 50. Ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

Della Seta. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi. Veramente da opposti settori si è già rivelata tale una concordanza significativa...

Uberti. No; da alcuni settori.

Della Seta... sulla soppressione del secondo comma dell'articolo 50, che io rinuncerei volentieri a svolgere il mio emendamento. Mi siano permesse solo pochissime parole, quasi a titolo di un'anticipata dichiarazione di voto.

Non siamo noi, repubblicani storici — e questa volta sull'aggettivo «storico» bisogna proprio porre l'accento — che possiamo disconoscere il diritto e il dovere della resistenza ai poteri costituiti, quando questi si accingano a manomettere le pubbliche libertà. «Pensiero e azione» fu la divisa della «Giovine Italia»; e questo diritto e dovere della resistenza non è stato solo un pensiero, cioè un principio consacrato nelle pagine dei nostri scrittori politici, ma è stato anche azione, azione tenace, pugnace ed audace attraverso la quale, per una via seminata di galere, di esili e di patiboli, la Patria nostra da «terra dei morti» è assurta ad unità e a dignità di nazione.

E proprio per questo, proprio perché riconosciamo questo diritto e questo dovere della resistenza, proprio per questo — non sembri una dissonanza — noi riteniamo che una tale norma non possa essere sancita in una Carta costituzionale.

Noi comprendiamo, noi ci inchiniamo anzi di fronte al nobile sentimento che ha indotto i membri della Commissione ad inserire questa norma nella Carta costituzionale. Essa, dirò, è stata un atto di fierezza civile, quasi come una reazione alla mortificazione che tutti subimmo sotto il regime dittatoriale, quando ci dibattemmo nel tormento di resistere ai poteri costituiti, come avremmo voluto, dovuto e forse anche potuto se — tranne una minoranza eroica — minori fossero state le coscienze pavide e servili, minori le schiene curve sotto la verga del dittatore.

Ma la storia non ha mai registrato l'esempio di un uomo, di un partito o di un popolo, che, prima di ricorrere alla resistenza, si sia preoccupato se questa resistenza fosse o no conforme alla Carta costituzionale.

Victor Hugo ha lasciato scritto che talvolta per rientrare nel diritto bisogna uscire dalla legge. Voi con questo comma volete legalizzare la illegalità.

«Appello al Cielo» chiamarono i trattatisti medioevali questo diritto del popolo alla resistenza; e il Poeta-Soldato cantò: «Quando il popolo si desta, Dio si mette alla sua testa e la folgore gli dà». Voi volete costituzionalizzare la folgore!

Ora, sia detto col massimo rispetto, tutto questo è un voler convertire nel barocco quanto talvolta è il sublime nella storia; questo è per lo meno un peccare di ingenuità. Ora, noi non vorremmo che questa Costituzione, che, tra pregi incontestabili, ha anche alcune note che noi vorremmo non possedesse, cioè le note della contraddittorietà, della reticenza e quella di essere bifronte, noi non vorremmo che essa aggiungesse anche la nota dell'ingenuità.

E perciò, sia per accogliere gli ammaestramenti della storia, sia per non peccare di ingenuità, noi ci associamo agli altri colleghi che hanno chiesto la soppressione di questo secondo comma dell'articolo 50.

Presidente Terracini. Seguono altri due emendamenti per la soppressione del secondo comma.

Quello dell'onorevole Azzi è già stato svolto. Dovrebbe ora svolgere il proprio l'onorevole Terranova, ma, non essendo presente, s'intende che vi abbia rinunziato.

Segue l'emendamento degli onorevoli Carboni e Preti, così concepito:

«Al secondo comma, sopprimere le parole: all'oppressione».

L'onorevole Preti ha facoltà di svolgerlo.

Preti. Noi avevamo presentato un semplicissimo emendamento. Ci sembrava che dire che la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino fosse in certo qual modo pleonastico. Credevamo che bastasse dire: la resistenza è un diritto e un dovere del cittadino. Ma poiché si sta parlando di rinviare l'esame di questo articolo 50 al titolo relativo alle garanzie costituzionali, noi non avremmo nessuna difficoltà ad accedere a questa proposta.

Benvenuti. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Benvenuti. Propongo un emendamento, per il quale ho già raccolto le dieci firme occorrenti, e che perciò mi riservo di presentare tra poco. Accenno tuttavia che si tratta di dare all'Assemblea la possibilità di un più ampio esame di questa materia, differendola a quando si discuterà delle garanzie costituzionali. Si tratta dunque di spostare l'esame e la collocazione. Vorrei pregare il Presidente di permettermi di illustrare intanto i motivi dell'emendamento che sto per presentare.

Presidente Terracini. Va bene onorevole Benvenuti, illustri pure questi motivi.

Benvenuti. Mi richiamo agli argomenti già accennati dagli onorevoli Caroleo e Sullo. La materia delle garanzie costituzionali sembra la sede opportuna per trattare questo argomento, in quanto il testo proposto non si riferisce soltanto al diritto di resistenza del cittadino di fronte ad arbitrî del potere esecutivo, ma anche al diritto della resistenza del cittadino ad atti del potere legislativo.

Ora, mentre il conflitto che si forma fra il cittadino e il potere esecutivo è sanabile attraverso il giudizio del Magistrato ordinario, il conflitto fra il cittadino e il potere legislativo non è sanabile se non attraverso quel sindacato giurisdizionale che non è ancora entrato nella nostra legislazione.

Quindi nella Carta costituzionale prima dovremmo esaminare il problema della risoluzione del conflitto fra il potere legislativo e il cittadino e discutere quindi l'introduzione nel nostro diritto pubblico dell'istituto del sindacato giurisdizionale, mediante l'eventuale creazione della Corte costituzionale, precisandone le funzioni e il modo di adirla. Poi potremo trarre le conseguenze in materia di diritto di resistenza all'esecuzione di leggi anticostituzionali. Altrimenti arrischieremmo di mettere il carro avanti ai buoi.

Nella sede delle garanzie costituzionali potrà dunque l'Assemblea rivedere e coordinare e formulare adeguatamente la norma relativa al diritto di resistenza.

Presidente Terracini. L'onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

Merlin Umberto, Relatore. Per quanto riguarda il primo comma dell'articolo 50 la Commissione prega l'Assemblea di votare il testo come da essa proposto. L'emendamento dell'onorevole Mastino è interessante, ma faccio osservare che per la prima parte è quasi identico al testo nostro; la seconda parte: «adempiere con disciplina e onore alle funzioni che gli sono affidate», è già assorbita dall'articolo 48 già votato. Per la terza parte noi riteniamo che sia un po' eccessivo imporre al cittadino l'obbligo di difendere contro ogni violazione le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l'ordinamento dello Stato. Essere fedele alla Repubblica, osservarne la Costituzione e le leggi, questo è giusto, ma più di tanto non si può pretendere. Pregheremmo perciò l'onorevole Mastino di rinunciare a questo suo emendamento accontentandosi della formula che la Commissione propone.

[...]

Per tutti quanti gli altri emendamenti che riguardano il secondo comma dell'articolo 50, la Commissione propone all'Assemblea di accettare la proposta fatta oggi dall'onorevole Benvenuti, ma fatta già prima anche dall'onorevole Sullo, e cioè di rinviare la discussione di questo comma al Titolo VI quando si parlerà delle garanzie costituzionali, perché evidentemente la materia è connessa; e allora l'Assemblea potrà trattarla anche più compiutamente per esaminare se proprio nella Corte costituzionale non vi sia un rimedio ed una salvaguardia contro i pericoli un po' esagerati che si sono indicati. Per cui la Commissione propone il rinvio a questa sede per poter trattare la materia più compiutamente e concretamente.

Presidente Terracini. Chiederò ora ai presentatori di emendamenti se li mantengano, o no.

Onorevole Mastino, mantiene il suo emendamento?

Mastino Pietro. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Mortati?

Mortati. Non insisto ed accetto la sospensiva.

[...]

Presidente Terracini. Onorevole Colitto, ella mantiene il suo emendamento?

Colitto. Aderisco alla proposta di rinvio.

Presidente Terracini. Onorevole Bosco Lucarelli?

Bosco Lucarelli. Anch'io.

Presidente Terracini. Onorevole Rodi?

Rodi. Anch'io sono per il rinvio.

Presidente Terracini. L'onorevole Sullo è assente; il suo emendamento s'intende decaduto.

Onorevole Caroleo, mantiene il suo emendamento?

Caroleo. Aderisco alla proposta di sospensiva e, subordinatamente, mantengo il mio emendamento.

Presidente Terracini. Onorevole Della Seta?

Della Seta. Accetto la proposta di rinvio, mantenendo il mio emendamento.

Presidente Terracini. Onorevole Preti?

Preti. Aderisco alla proposta di rinvio fatta dall'onorevole Benvenuti.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti