[L'11 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alle appendici generali della Parte seconda per il testo completo della discussione.]

Martino Gaetano. [...] Qui si è a lungo discusso, a proposito del Titolo IV della prima parte della Costituzione, sul cosiddetto diritto di resistenza, e dubbi non infondati furono espressi da parecchi autorevoli colleghi circa l'opportunità di far menzione nella Costituzione di questo principio, accolto da tempo immemorabile nel diritto pubblico di tutti i paesi. Forse è stato un errore l'averlo incluso fra i diritti politici, cioè l'averlo considerato come un diritto di libertà, mentre esso rappresenta piuttosto — come sostengono i cultori di diritto pubblico dal Casanova al Brunialti, per non citare che i più noti — la «guarentigia comune dei diritti di libertà», cioè una garanzia di libertà, una garanzia costituzionale. Il diritto di resistenza, come garanzia, dei diritti di libertà, è ammesso fin dalle leggi Valerie, trova posto nella «Magna Charta» britannica e nella «Bulla Aurea» di re Andrea II di Ungheria, rappresenta un principio accettato e difeso da tutti gli scrittori di diritto pubblico in tutti i tempi ed in tutti i Paesi, e soprattutto dai Gesuiti.

Ora, il sindacato giurisdizionale della costituzionalità delle leggi non è che l'espressione giuridica continua di questo diritto di resistenza popolare contro l'onnipotenza parlamentare: ne è una prova, vorrei dire ontogenetica, la storia della Costituzione degli Stati Uniti d'America. La separazione delle Colonie del Nord-America dalla Madre Patria fu l'effetto, come è noto, della resistenza popolare contro una legge votata dal Parlamento inglese, la quale imponeva tributi ritenuti arbitrari, cioè tasse sul commercio interno. Infatti, secondo la dottrina allora vigente, era competente il Parlamento della Madre Patria soltanto per le tasse e i tributi che gravavano sul commercio esterno delle colonie (perché considerati di interesse generale), ma non per i tributi gravanti sul commercio interno, per i quali erano competenti le Assemblee legislative delle colonie: questa fu la tesi che sostenne con tanto calore il Pitt alla Camera dei Comuni. È proprio per queste origini, che nel diritto pubblico americano si affermò fin dall'inizio, come fondamentale, il principio del diritto di resistenza popolare contro l'onnipotenza parlamentare; e l'espressione concreta di questo principio si trova appunto nel controllo giudiziario delle leggi, controllo imposto più dal costume del Paese, che dal testo dell'articolo 6 della Costituzione del 1787.

[...]

Riassumendo: non vi sono fondate ragioni per ripudiare il controllo giudiziario della costituzionalità delle leggi; vi sono invece serie e fondate ragioni per ritenere che, come espressione giuridica e civile di un indiscutibile diritto di resistenza popolare contro gli abusi del potere esecutivo, esso rappresenti un mezzo adeguato per la stabilità del regime parlamentare.

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti