[Il 29 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Basile. [...] Un'altra delle questioni dibattute. Fu criticata la norma dell'articolo 21 sulla pena. Ma noi non possiamo ricondurre la pena alla penitenza, il delitto al peccato. Le due grandi correnti di pensiero scientifico, nel dissidio fra il diritto penale classico e la scuola positiva, mostrano che il risultato della vita pratica è sempre una diagonale. Anche nel dissidio fra le scuole di filosofia, i metafisici trascendentali, a poco a poco, senza saperlo, assimilano i risultati della scienza sperimentale positiva. Per noi la pena dev'essere rieducazione, non espiazione, non castigo. E io plaudo all'art. 21, anche se la dolorosa esperienza della recidiva ci dice che non tutti i colpevoli sono emendabili. Ma ci sono sempre, o ci possono essere, anche fra questi, coloro che si salvino, che si rialzino col rimorso e con la terapia incitatrice e risanatrice del lavoro. Un grande giurista francese, il Saleilles, fa omaggio ai principî della scuola positiva quando parla dell'individualizzazione della pena, che presso altri popoli assume le forme della pena indeterminata e alternativa, su cui sono possibili riserve, critiche, e discussioni appassionanti.

Per non tediare l'Assemblea, aggiungerò una parola sul sistema carcerario. La pena non potrà essere emendatrice, specie pei recidivi, se non riformando le leggi penali, il personale penitenziario e sanitario, di cui bisognerà elevare le condizioni economiche, migliorandone la carriera e il reclutamento, e richiedendo conoscenze nel campo della criminologia e della psicologia giudiziaria. E bisogna abolire il concetto di pena pel minore, a cui si inocula, si innesta, il virus della criminalità, condannandolo al contagio coi peggiori.

[...]

Veroni. [...] E consentano gli onorevoli colleghi che da ultimo io accenni a un ricordo personale del mio passaggio al Ministero della giustizia, quando collaborai con l'onorevole Tupini prima e con l'onorevole Togliatti dopo: intendo alludere alle condizioni degli stabilimenti penitenziari.

Se, in questo campo, abbiamo potuto organizzare a Roma qualche cosa di diverso da quella che è la condizione di tutti gli altri stabilimenti penitenziari, lo dobbiamo proprio a due componenti della Commissione: al mio Ministro del tempo, l'onorevole Tupini, e all'onorevole Ruini, che quale ministro dei lavori pubblici ci concesse i primi quaranta milioni occorsi per riprendere i lavori di sistemazione del carcere di Rebibbia, che è veramente uno stabilimento modello, veramente in prima linea tra gli stabilimenti carcerari esistenti in Europa e nel mondo. Ma quello che abbiamo potuto avere allora e più tardi per riprendere la costruzione di questo stabilimento penitenziario quasi perfetto, non è facile che il bilancio dello Stato possa oggi darci, per poter provvedere alle esigenze carcerarie di tutta l'Italia. Io, per ragioni del mio ufficio, ho avuto la possibilità di visitare tutti gli stabilimenti penitenziari esistenti in Italia: ho dovuto constatare che purtroppo le deficienze sono enormi e che le condizioni degli stabilimenti carcerari sono considerevolmente peggiori di quello che il Paese può sapere e conoscere. Ma come provvedere? Ovunque si reclamano costruzioni di nuovi edifici per sostituire quelli fortemente danneggiati dalla guerra o sistemazione di stabilimenti carcerari già esistenti, il che esige, da un conto che avemmo l'occasione di fare, una spesa veramente imponente. Ora, di fronte a questa esigenza di carattere finanziario, assumere che gli stabilimenti carcerari e i servizi penitenziari non funzionano, o sono mal ridotti, significa non aver approfondito e conosciuto il problema in tutta la sua interezza. Chi sa le ansie di chi ha avuto la direzione dei servizi penitenziari durante il periodo immediatamente successivo alla liberazione, non ignora che dall'Amministrazione della giustizia furono realizzati degli autentici miracoli per fronteggiare la situazione veramente paurosa in ogni parte d'Italia. E ciò non solo per le condizioni gravi e di assoluta deficienza in cui si vennero a trovare gli stabilimenti carcerari, ma anche per le condizioni economiche e morali in cui era il personale degli stabilimenti stessi.

Quindi, quando l'onorevole Mastino ha detto: «Migliorate le condizioni degli agenti di custodia», ha detto una cosa che risponde alla coscienza comune; ma bisognava anche dire che molto si è fatto per esaudire le loro richieste e gli agenti non si possono dolere del trattamento che hanno avuto dalla liberazione d'Italia in poi. Essi sanno che, prima dall'onorevole Tupini e più tardi dall'onorevole Togliatti, furono concessi miglioramenti efficienti, miglioramenti che hanno tranquillizzato quel malessere che serpeggiava in seno al loro corpo: per cui è da ritenere che una volta provveduto man mano, gradualmente, alla sistemazione degli stabilimenti carcerari e migliorate ancora le condizioni del personale addetto ai servizi penitenziari, anche questo problema potrà dirsi affrontato e avviato verso la sua soluzione, creando così quella possibilità di ottenere attraverso l'espiazione della pena la rieducazione del colpevole.

Né vale su ciò quanto autorevolmente diceva l'onorevole Mastino: «Quando avrete un imputato che si sia incallito nel delitto, quando avrete un recidivo reiterato, voi non potrete sperare che la pena lo rieduchi».

Tale enunciato non ha importanza, particolarmente ai fini di quella che deve essere la dizione dell'articolo della Costituzione. Poiché noi non ci possiamo preoccupare di casi specifici; non possiamo mettere nella Costituzione disposizioni di regolamento carcerario o del Codice di procedura penale.

Dobbiamo enunciare il principio generale, secondo cui la pena è intesa a rieducare il reo. Se questo è il principio (che del resto la dottrina ha accolto e che il diritto penale e penitenziario di ogni paese ha consacrato), io trovo che l'articolo 21 del progetto di Costituzione è veramente da approvarsi.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti