[Il 22 aprile 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Cavallotti. Mi ero domandato, mentre preparavo questo mio intervento, se l'articolo 26 avrebbe suscitato lo stesso interesse di altri articoli, ma debbo rilevare che l'articolo 26 della Costituzione non ha suscitato nell'Assemblea lo stesso interesse che hanno suscitato altri articoli forse perché alla povera salute è capitato di trovarsi tra la famiglia e la scuola, tra la dissolubilità e l'indissolubilità del matrimonio da una parte, e la scuola parificata e la scuola statale dall'altra.

Sicché dalla lotta sostenuta fra i diversi gruppi politici su questi argomenti, la povera salute ne è uscita malferma, almeno nella discussione. Io avevo risposto di sì alla mia domanda, perché il diritto alla salute è il primo fra tutti i diritti, e, secondo me, il problema della salute investe problemi di diversa indole: economica, sociale, etica, politica quindi.

Avevo risposto sì alla mia domanda perché il patrimonio salutare del popolo di questa terra, dove cittadini di tutte le nazioni vengono per ricuperare la salute, questo patrimonio è molto scadente ed è proprio su questa terra salubre che le masse lavoratrici perdono la salute. Ho risposto ancora di sì alla mia domanda, perché mi sono ricordato dell'episodio storico del dottor Championner, medico francese del secolo scorso, il quale, parlando col suo monarca, ironizzando sulle nuove teorie bacteriche di Pasteur e sulla relazione disastrosa fatta da Lister circa la salute dei cittadini francesi di quell'epoca, ebbe a dire: «Dicono che il vostro regno stia per essere disgregato da una miriade di esseri diabolici, i bacteri; e medici e scienziati affermano che l'unica politica vostra dovrebbe essere quella di ridonare la salute al popolo francese».

Io vorrei riportare qui, in Assemblea, la frase di Championner, con un solo cambiamento, e non dispiaccia alla destra, quella della parola regno in repubblica. Passiamo all'argomento.

Quando si discute il progetto di Costituzione, diversi possono essere gli obiettivi, perché diverse sono le ideologie a seconda dei diversi gruppi politici, diversi sono gli spunti tattici e le linee strategiche, ma c'è un punto che accomuna tutti i diversi gruppi politici, ed è la base di partenza: cioè la reale condizione dei fatti, la situazione nella quale ci troviamo, la realtà obiettiva. E se per altri settori che non siano quello della salute, l'interpretazione di questa base di partenza può essere diversa, a seconda dei diversi gruppi politici, per quel che riguarda la salute abbiamo degli interpretatori che possiamo definire imparziali, cioè i medici, i sanitari, gli scienziati.

E permettetemi, onorevoli colleghi, di dire brevissimamente qualche cosa sullo stato di salute attuale del popolo italiano, perché è su questo che dobbiamo basarci per fissare i principî costituzionali a questo proposito. Non vi tedierò con numerose cifre statistiche anzi desidero farvi un quadro panoramico impressionistico; mi limiterò a ricordarvi che annualmente muoiono in Italia cinquantamila persone di tubercolosi. La cifra è stata fornita qualche settimana fa dall'Alto Commissariato per la sanità; e attualmente sarebbero tubercolotici circa 500 mila italiani. E mi permetterò anche di ricordarvi che, se è vera la tesi che per ogni tubercolotico censito vi sono cinque o sei sfuggiti all'indagine, noi ci troviamo di fronte ad una massa di italiani malati di tubercolosi che va dai due ai tre milioni.

Mi permetterò anche di ricordarvi che muoiono in Italia ogni anno più di cento e sei bambini lattanti su mille nati in quell'anno. Mi permetterò anche di ricordarvi il grande aumento, la grande diffusione delle malattie infantili, per noi doppiamente dolorose, perché minano il nostro popolo nel suo germoglio, nelle sue radici; e dolorose anche perché dobbiamo riconoscere che se i bimbi oggi stanno peggio di prima, se muoiono, è per colpa dei grandi. E volevo anche dirvi che certe malattie che noi medici vedevamo raramente nei nostri ospedali, nelle nostre cliniche e che chiamavamo curiosità, rarità cliniche, non sono oggi più curiosità né rarità perché affollano i nostri ospedali.

Questa è la situazione di fatto della salute del popolo italiano. E la ragione di tutto questo deve essere ricercata nel tenore di vita del popolo italiano, delle masse lavoratrici italiane: tenore di vita fatto di case-tugurio, dove il sole entra raramente, dove ci si dimentica delle più elementari norme di igiene. Se volete prove tolte da una inchiesta fatta nel 1934, vi dirò che da essa risultava che in quell'anno un milione e 400.000 abitazioni erano senza latrina e un milione e 800.000 abitazioni senz'acqua; vi dirò che risultava anche che a Napoli più di 30.000 persone dormivano in più di dieci nella stessa stanza. Oggi, con le bombe piovute dal cielo e le granate mandateci da cannoni nemici ed amici, Napoli ha perso il suo triste primato, l'ha ceduto all'Italia tutta, Napoli si è nazionalizzata nella sua sciagura.

Tenore di vita, quello del popolo lavoratore italiano, fatto di cinghie più o meno strette, ma sempre piuttosto strette che poco; e le pance vuote sono tristi complici di malattie. Tenore di vita, infine, fatto di alimentazione unilaterale, fatto di insopportabili ricordi fisici e morali di questa guerra che abbiamo passata.

Di fronte a questo patrimonio salutare così scadente, di fronte a quei 500.000 tubercolotici diagnosticati e ai due o tre milioni di tubercolotici presunti, abbiamo in Italia 60.000 letti sanatoriali; anzi, forse sono ancora di meno in questo momento, perché proprio questa mattina è venuta la notizia che tremila letti di un complesso sanatoriale milanese verranno a mancare per ragioni economiche.

Di fronte a ciò, vi è una carenza di letti ospedalieri, per cui siamo scesi, in alcune regioni italiane, al mezzo per mille, quando la media delle nazioni civili è del sei per mille.

Di fronte a ciò, vi sono le visite, le cosiddette visite assicurative, le quali sono caratterizzate dalla mancanza di fiducia dell'assistito verso il medico da una parte; e dall'altra, dalla molta fretta del medico che ha un numero eccessivo di malati da visitare.

E ancora vi sono numerose file di troppo ingenue medicine, lo ha già ricordato ieri il collega onorevole Spallicci, e vi sono anche numerose file di altrettanto ingenui sciroppi che formano la farmaceutica delle classi meno abbienti. Vecchi decotti dell'illusiva scienza medica del secolo scorso, nuove soluzioni che hanno una proprietà, quella di nuocere. Vi è poi un insieme di organismi assistenziali i quali lavorano autonomamente, ciascuno per proprio conto, qualche volta anzi addirittura in contraddizione l'uno di fronte all'altro. Tutti quanti poi fanno questo bel servizio, di far girare l'ammalato da un istituto all'altro, prima di ricoverarlo, prima di aiutarlo. E accanto alle istituzioni controllate dallo Stato, vi sono le cosiddette istituzioni private — i cosiddetti istituti di beneficenza — con le loro crisi spasmodiche di attività e quelle negative di afflosciamento. La mia critica può sembrare superficiale, ma investe diversi settori.

Questa mia critica, onorevoli colleghi, investe prima di tutti gli altri, il settore economico. Forse qui parlo in anticipo sul titolo terzo del progetto costituzionale: ma non voglio dire che poche parole. Ho detto che la mia critica investe particolarmente il settore economico perché, a proposito del problema della salute, c'è da rispondere ad una domanda cui ancora non abbiamo risposto per altri problemi: chi paga? Chi paga quella che possiamo definire la ricostruzione della salute? Noi sosteniamo che i lavoratori non debbono pagare più, come hanno pagato sino ad ora; noi sosteniamo che quella aliquota, cosiddetta assicurativa, non debba essere più sottratta dal salario, ma debba anzi essere parte integrante del salario stesso.

Ma, in pratica, come possiamo rispondere alla domanda poc'anzi formulata: chi paga? Ci sono patrimoni che si possono far gravare di molte imposte; ci sono oggetti di lusso i quali possono essere sottoposti a tassazione; tassazione su coloro che adoperano il superfluo, in vantaggio di coloro che domandano la salute.

La mia critica investe anche il settore tecnico-organizzativo. Voi sapete che in Italia esiste una medicina propria delle classi lavoratrici: essa è la medicina assicurativa. Tale medicina oggi dà ben scarsi risultati, e vi sono alcuni che trovano a decine a decine le ragioni della deficienza di questa medicina assicurativa: mancanza di persone capaci che l'amministrino, mali burocratici, mancanza nell'amministrazione e direzione, degli interessati, i lavoratori. Ma c'è anche un altro male, la cui guarigione dovrà risultare, io lo spero, nel progetto di Costituzione, ed è questo: la mancanza di fiducia che il malato ha verso il medico cosiddetto assicurativo.

Dobbiamo svelarci, colleghi medici, ai colleghi deputati? Facciamolo.

Noi abbiamo la brutta abitudine di prescrivere delle medicine. Qualche volta le prescriviamo sicuri che esse facciano bene all'ammalato; molte volte ci illudiamo semplicemente che esse possano recargli giovamento; e qualche altra volta ancora prescriviamo medicine, perché dobbiamo ben dare qualche cosa in cambio dell'emolumento della nostra visita.

Ma, oltre a queste medicine, noi medici siamo convinti dell'esistenza di un'altra medicina, della quale non possiamo segnalare il significato scientifico, che la prassi giornaliera ci dice esistere: la fiducia del malato verso il medico. Quando c'è la fiducia nel medico, l'ammalato guarda verso la guarigione; quando la fiducia nel medico non c'è, l'ammalato guarda verso la morte.

Che cosa vuol dire questa fiducia? Questa fiducia vuol dire libera scelta, da parte dell'ammalato, del medico che lo deve curare.

Ed a questo proposito sono stato incaricato dall'Associazione dei medici liberi professionisti della provincia di Milano e poi ancora dal Consiglio dei Medici fiduciari delle Casse Mutue, di esporre all'Assemblea Costituente i desideri di questi sanitari, e cioè che il progetto di Costituzione garantisca il rapporto di fiducia fra medici ed assistiti. Qualunque sia la organizzazione futura sanitaria, si deve garantire questo al malato, di scegliere il medico che desidera.

La mia critica investe anche il settore morale. Ho parlato della esistenza di istituti cosiddetti di beneficenza, più o meno privati della carità. In regime di liberazione dal bisogno, quale è quello che noi vogliamo instaurare in Italia, questa assistenza caritatevole, paternalistica non deve più esistere. Essa era stata motivata nei secoli scorsi da due ragioni, una ragione che definirò di ordine egoistico e l'altra ragione squisitamente economico politica.

La prima ragione è questa: certi benefattori e certe benefattrici hanno voluto fare una virtù personale di un dovere di solidarietà ed hanno creduto di potersi fare perdonare così nell'al di là di certi peccatucci che avevano commesso nell'al di qua. Insomma, le istituzioni caritatevoli fanno per costoro da anticamera del Paradiso.

La seconda ragione è una ragione squisitamente economico-politica e ce lo dice il fatto che troviamo a capo di questi istituti, il capitale industriale, bancario ed agrario. Chi non vuole riconoscere la necessità di soddisfare i diritti dei lavoratori, elargisce elemosine.

Desidero ricordare ai colleghi deputati, che le ragioni addotte non sono state partorite in questo momento dalla mia mente, ma sono state scritte da un sociologo, che masticava poco Marx, da un sociologo del secolo scorso, il Viganò, nel 1869. La mia critica investe infine il settore economico professionale medico. Sarò breve su questo punto. Due parole per significarvi quale triste vita conducono molti gruppi di medici. A Milano, dodici medici reduci e partigiani, hanno lasciato il bisturi e lo stetoscopio, perché, visto che l'uso di questi strumenti non riusciva a sfamarli, hanno preferito indossare i cinturoni dei metropolitani notturni.

Se questa è la situazione sanitaria, quali sono gli obiettivi che dobbiamo prefiggerci? Io direi che è sostanzialmente uno: quello di garantire la sicurezza sanitaria della popolazione su una base di solidarietà. Badate, che il concetto assicurativo ha ancora in sé qualche cosa di egoistico. Il concetto di solidarietà è qualche cosa di molto più avanzato del concetto assicurativo, perché esso pretende una fusione fra classe e classe, fra categoria e categoria, fra sano ed ammalato. Se noi vogliamo dare uno sguardo panoramico mondiale alla situazione, possiamo vedere come la questione è stata risolta dalle altre Nazioni, come questo problema della salute è stato risolto, perché, non si sta male soltanto in Italia. E se non vogliamo guardare verso le nazioni progredite dell'Est, dell'oriente, verso la Nazione socialista sovietica, verso la repubblica democratica jugoslava, perché qualcuno potrebbe obiettare che quando guardiamo da quella parte abbiamo gli occhi abbacinati dal sole di quella società, — e noi controbattiamo che v'è qualcun altro che ha gli occhiali affumicati dallo scetticismo e dalla prevenzione denigratrice — guardiamo pure verso occidente, guardiamo all'Inghilterra, per esempio.

Questo paese ha creduto di risolvere, o ha risolto, il problema della salute del suo popolo, costituendo un servizio sanitario nazionale e cioè mettendo tutti i sanitari a servizio dello Stato. Questo si è fatto in Inghilterra, ma alla Camera dei Comuni vi è stato qualcuno che si è opposto al nuovo tipo di organizzazione sanitaria inglese, in difesa dei privilegi dei cosidetti liberi professionisti inglesi.

Ha risposto loro, e duramente, il signor Lasky ammonendo i medici poco patriottici ed umanitari che non si servono contemporaneamente due padroni, l'umanità sofferente e l'oro, o l'uno o l'altro.

Vi è un altro Paese, la Nuova Zelanda, che ha un servizio nazionale sanitario già in efficienza da circa 10 anni. La popolazione di quella nazione dal momento in cui nasce, anzi ancor prima di nascere, dal momento in cui è nel ventre della madre al momento in cui muore, è sicura di avere la sua assistenza sanitaria gratuita. Io ho ricordato questi esempi perché, se noi vogliamo garantire ai lavoratori e alle loro famiglie un'assistenza degna d'una nazione civile è necessario che la sanità pubblica sia, nella nuova riforma, pianificata ed organizzata su nuove e più allargate basi. Assistenza collettivistica, quindi, della quale non conosco che due tipi, o l'assistenza nazionale, tipo quella che è stata effettuata in Inghilterra, oppure l'assistenza nell'ambito del lavoro, cioè l'assistenza assicurativa estesa anche ai lavoratori indipendenti ed alle famiglie di questi lavoratori.

L'Inghilterra ha scelto la prima strada; ma le condizioni esistenti in Italia oggi sono molto diverse da quelle esistenti in Inghilterra, e pertanto la riforma sanitaria inglese fa parte di un vastissimo piano, il modificato piano Beveridge, mentre in Italia ancora non abbiamo alcun piano.

E poi c'è una ragione storica che ci deve far propendere verso l'assicurazione del tipo lavorativo. Vi ricordo a questo proposito le gloriose e vecchie mutue di soccorso dei nostri lavoratori, quelle mutue di soccorso che segnano un'evoluzione nella fase produttiva del nostro Paese, e cioè la fase di passaggio dalla produzione agricola all'agricola-industriale. Quando sono cominciate le prime officine, quando sono cominciate le prime industrie e i lavoratori si sono accorti che i legislatori non pensavano ad assicurarli contro l'incapacità lavorativa per malattia, essi hanno fatto una cosa molto semplice, col buon senso e lo spirito di previdenza che caratterizza la nostra gente: si sono assicurati da soli ed hanno creato le mutue di soccorso, quelle associazioni tanto utili e così ben funzionanti, anche se stemmate con la ingenua stretta fra due mani, simbolo della solidarietà umana.

Voglio trovare in esse il principio sancito dall'Unione sovietica: «La difesa della salute dei lavoratori spetta ai lavoratori stessi».

Un valoroso collega, l'onorevole professore Caso, disse giorni fa all'Assemblea: «Come uomo e come medico io difendo nell'intimo della mia coscienza i miei colleghi e soffro nel vedere i miei valorosi colleghi ed i lavoratori stretti nelle maglie della speculazione, da parte di intriganti che pullulano nelle organizzazioni assistenziali».

Ho voluto ricordare le parole dell'onorevole Caso, ed ho voluto ricordare anche le mutue di soccorso fra lavoratori, non per capriccio, perché e l'osservazione d'un medico e la citazione storica debbano persuaderci che se vorremo nel futuro avere organizzazioni assistenziali ben funzionanti, bisogna mettere a capo di esse, coloro che sono direttamente interessati, i lavoratori. I lavoratori sanno difendere la loro salute, perché sanno ch'è il patrimonio più prezioso.

Di fronte a tutto ciò, alla reale situazione sanitaria, salutare ed assistenziale, s'erige nella sua asciuttezza l'articolo 26, che è tutto da rivedere. Ed infatti gli emendamenti che ad esso sono stati proposti non vanno sotto il nome di emendamenti, ma di vere e proprie sostituzioni. È dunque un articolo tutto da rifare. Comunque critichiamolo.

L'articolo 26 dice che la Repubblica tutela la salute, promuove l'igiene e garantisce le cure gratuite agli indigenti. In questa formula evidentemente gli onorevoli costituenti, o meglio la Commissione compilatrice del progetto, ha creduto di vedere anche l'azione preventiva medica. Ora, noi medici diciamo che vogliamo vedere in una Costituzione che ha un valore storico qualcosa che sia più incisivo nei riguardi della protezione della salute. Perché non bisogna dimenticare che la medicina ha fatto una svolta da parecchi anni ad oggi, ed è diventata soprattutto preventiva. Noi ci inchiniamo di fronte alle grandi scoperte della scienza moderna, alla scoperta della penicillina e della streptomicina anglosassoni, e della gramicina sovietica. Ma sappiamo che molto di più di queste scoperte vale la possibilità, socialmente parlando, di poter effettuare periodicamente visite odontoiatriche o visite radiologiche per l'apparato respiratorio. Quindi l'articolo 26 dovrebbe fare un'affermazione più marcata dell'opera preventiva in difesa della salute.

In questo articolo si parla di cure gratuite agli indigenti. Ma quali cure? La Costituzione francese è più coraggiosa. Parla infatti di «tutte le cure che la scienza offre». E anche noi dovremmo avere questo coraggio, e garantire ai lavoratori la protezione della loro salute con tutti i mezzi messi a disposizione della scienza. Non si può continuare soltanto con la somministrazione delle solite medicine a base di calcio o coi soliti sciroppi di poligala; l'assistenza sanitaria non può conoscere la relatività e la sperequazione: si deve dare tutto e a tutti in eguale misura.

D'altra parte non si può continuare con la vecchia formula paternalistica che parla di poveri e di indigenti. Perché se è vero che l'iter di un lavoratore può essere interrotto da una infermità e la sua capacità lavorativa può esserne diminuita o addirittura annullata, è altrettanto vero che quel lavoratore deve restare sempre per noi un lavoratore che ha diritto all'assistenza, e non essere considerato come un povero. Egli ha diritto ad essere assistito finché non riacquisti la capacità di tornare al lavoro. Del resto, il concetto della cura gratuita agli indigenti urta contro il principio dell'articolo 31, il quale dice che la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro ed esige da tutti i cittadini il dovere di svolgere una attività. Il concetto della indigenza deve essere bandito. È un concetto che urta anche contro l'articolo 34, che, parlando dell'assistenza ai lavoratori, sconfigge il vecchio criterio della povertà ed innalza il nuovo concetto della solidarietà.

Dirò per ultimo qualcosa su quel comma dell'articolo 26 che parla di pratiche sanitarie lesive della dignità umana. Viene spontaneo di domandarsi che cosa ci stia a fare questa dichiarazione. E lì per lì confesso che ho pensato che la Costituente volesse dichiarare guerra alle innocenti cannule da clistere, ree di alto tradimento per aggressione alle spalle della dignità umana. Ma non era questa, evidentemente, la ragion d'essere del comma. Forse si è pensato alla sterilizzazione, forse all'aborto; forse qualcuno ha pensato a certe pratiche mediche che oggi sono riti religiosi, come la circoncisione, che possono venire interpretate come violazione della dignità personale.

Crediamo che questo comma non debba entrare nella Costituzione e che, se mai, di proibizione dell'aborto o della sterilizzazione si debba occupare la legislazione ordinaria.

Credo di avere messo l'Assemblea a conoscenza di quello che il partito comunista vorrebbe che fosse la Carta costituzionale riguardo la tutela della salute.

Mi auguro di essere stato felice nel rendere quello che io sento come medico e come studioso di problemi sanitario-sociali; e mi auguro anche di essere stato felice nell'esporre quello che sento come uomo politico, rappresentante delle masse lavoratrici.

Spero che quel punto di incontro, di cui ha parlato il compagno Togliatti, in un suo discorso in questa Assemblea, punto di incontro dei diversi raggruppamenti politici, si possa trovare a questo proposito.

Mi auguro che il popolo italiano possa avere tra qualche giorno la notizia che, al di fuori d'ogni ideologia e d'ogni strategia, l'Assemblea Costituente, all'unanimità, ha sancito il diritto alla salute per il popolo italiano, sulla base della solidarietà, contro qualsiasi speculazione, contro qualsiasi sopraffazione ed egoismo, per l'unione intima dell'umanità cosiddetta ricca all'umanità cosiddetta povera, dell'umanità sofferente all'umanità sana, dell'umanità dolente all'umanità gioiosa (Applausi).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti