[Il 22 aprile 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Pignedoli. [...] Ho finito. Sulla tomba di Isacco Newton, il genio altissimo, che ha onorato tutto il mondo scientifico, sta scritta un'espressione nella quale è detto che l'umanità tutta si gloria di averlo avuto figlio.

Noi siamo al di fuori e al di sopra di ogni esasperato spirito nazionalistico anche dal punto di vista della rivendicazione, dinanzi al mondo delle nostre glorie scientifiche; ma noi sentiamo, però, che la tradizione italiana, che la gloria di Leonardo, quella di Galileo, la gloria di Volta e di Pacinotti, di Ferrari, e di Marconi non sono tali da poter essere dimenticate dinanzi al mondo e sentiamo ancora più che è necessario tutelarne lo spirito e la grandezza.

Per questo io non ho mai plaudito sufficientemente e non avrò mai sufficientemente approvato quella dizione del nostro progetto costituzionale, nella quale si parla di aiutare i giovani migliori, anche se privi di mezzi, anzi soprattutto se privi di mezzi, a raggiungere le alte espressioni della cultura e le altissime posizioni dell'insegnamento e della ricerca scientifica.

A questo la scuola italiana, onorevoli colleghi, deve assolutamente impegnarsi e la Repubblica deve lavorare con ogni mezzo, e gli uomini che hanno la responsabilità delle decisioni in questo campo dovranno agire con intensa passione e con alta convinzione; perché, onorevoli colleghi, io sono certo di non usare espressioni di esasperato nazionalismo, ma di dire semplicemente la verità; non esalto infatti glorie militari o fatti che si sperdono nelle lontananze della storia o della leggenda, ma esalto glorie effettive della nostra stirpe.

Io vi dichiaro: la Repubblica difenderà e proteggerà i ricercatori e gli studiosi e avvierà i giovani migliori alle altissime posizioni, da cui poi, brillerà il loro genio, perché se si spegnesse la civiltà scientifica italiana, ne avrebbe grave pregiudizio la civiltà del mondo. (Applausi al centro Congratulazioni).

[...]

Marchesi. [...] Selezionare non è costituire la folla dei reietti e degli umiliati; è disperdere la folla degli spostati, che si va facendo sempre più paurosa. D'altra parte si sente la necessità di fare avanzare verso i gradi superiori della cultura quelli che ne sono stati esclusi non per difetto d'ingegno, ma per difficoltà economiche finora insuperabili.

Questo è un punto veramente nuovo della nostra Costituzione. Il 1° comma dell'articolo 28 dice: «La scuola è aperta al popolo». Frase demagogicamente presuntuosa ed irrisoria, se non corrispondesse a un intimo convincimento e ad una ferma risoluzione. E sarà compito e onore dell'Assemblea legislativa affidare a quest'articolo la risoluzione del problema scolastico che implica il rinnovamento di tutta la vita nazionale. Da secoli, onorevoli colleghi, il figlio del contadino e dell'operaio continua a fare il contadino e l'operaio. Nessuno vieta al figlio del contadino e dell'operaio di salire al grado di primo ministro o diventare scienziato ed artista di eccezionale valore, nessuna legge lo vieta, nessun padrone di fabbrica o di terra lo impedisce; lo impedisce un padrone inesorabile e invisibile: la tirannia del bisogno. Non è un problema sentimentale questo; non si tratta di generosità d'animo che apra al povero la via della elevazione economica e intellettuale; non si tratta di un beneficio che la fortuna dei pochi debba concedere alla miseria dei più. Se si trattasse di un beneficio noi lo respingeremmo risolutamente. Noi combattiamo per la conquista di diritti; e ogni beneficio è, sotto certi riguardi, una negazione di diritto, perché ogni beneficio è revocabile. (Applausi).

Non ci illudiamo, onorevoli colleghi, che si possa presto giungere a siffatto ordinamento, non ci illudiamo che la norma scritta del legislatore possa corrispondere subito alla indicazione costituzionale. Non abbiamo la storditezza di dimenticare la situazione economica del nostro Paese, il quale ora deve lottare per la sua esistenza e domani, siccome speriamo, per la sua prosperità. Sappiamo che l'unico lavoro ammissibile oggi è quello di iniziazione e di manutenzione, perché l'attività scientifica italiana non abbia a perdere i suoi maggiori e più accreditati centri di studio. Si pensa a futuri collegi universitari, a nuove case di studenti che dovranno un giorno degnamente e nobilmente accogliere e addestrare una scelta gioventù studiosa. Nobilissimo proposito che è facile, che è doveroso vagheggiare oggi, ma che è difficile, se non forse impossibile, attuare. Abbiamo in Italia scuole magnificamente attrezzate. Ricordo la Scuola normale superiore di Pisa, che al vanto della sua tradizione non è mai venuta meno, che raccoglie ancora oggi studenti venuti da tutte le parti d'Italia. A queste scuole si dia ogni mezzo perché continuino non soltanto a vivere, ma a prosperare. Sarebbe imperdonabile colpa far perire o deperire i centri di studio meglio avviati e corredati per somministrare inutili boccate di ossigeno a istituti che non hanno possibilità di sostenersi. Dobbiamo resistere a questa snervante e pigra tentazione delle elemosine disordinate. La scienza non può vivere di elemosine accattate mese per mese. È dura la conclusione che si ricava dalla situazione presente, ma noi abbiamo bisogno oggi di contrazione e di selezione. Mentre vengono meno i mezzi della ricerca scientifica, nella maggior parte delle Università italiane, e crescono invece a ondate di migliaia gli studenti, i quali dovranno precipitare nella voragine della disoccupazione, bisognerà provvedere energicamente perché la scuola si contragga e la selezione degli studenti avvenga nel loro stesso interesse.

Scuole di lavoro, di artigianato, di preparazione tecnica, sono necessarie ora all'Italia e alcuni saldissimi centri di studi scientifici superiori, che siano base di successivi sviluppi.

Chi pensa diversamente può essere sospettato di voler abbandonare ad altri poteri l'altissimo compito nazionale della pubblica istruzione.

Ho abusato della vostra pazienza. Io vi propongo di accettare l'emendamento proposto all'articolo 28, dove è detto che spetta allo Stato il compito di conferire i titoli legali di studio e di abilitazione professionale.

Onorevoli colleghi, la scuola, in ogni ordine e grado, ha bisogno di comporsi subito rigorosamente in organo di preparazione scientifica e di selezione personale. Se questa necessità non è ancora bene intesa da quanti devono provvedere alla sua funzione, ogni speranza di risanamento morale, sociale, economico della nostra gente è perduta. E non la borghesia, né i ceti intermedi, i quali nell'organismo scolastico hanno trasfuso la propria infermità, ma il popolo lavoratore, attraverso la degradazione della scuola, sarà ancora una volta tradito, perché soltanto la scuola rigorosa e disciplinata può dare al popolo lavoratore i più validi e non ancora sperimentati strumenti di elevazione e di emancipazione. (Vivi applausi a sinistra — Congratulazioni).

[...]

Moro. [...] Un altro punto ancora: le provvidenze dello Stato che permettano agli alunni meritevoli e bisognosi di raggiungere i gradi più elevati dell'istruzione.

Su questo punto vi fu accordo unanime, ed anche, se non sbaglio, l'onorevole Basso votò a favore. Si disse che queste provvidenze dello Stato debbono essere a favore degli alunni non soltanto delle scuole statali ma anche di quelle parificate, proprio perché vi sono quei controlli di cui ho parlato e che assicurano del buon rendimento di esse. Anzi fummo proprio noi ad escludere le scuole meramente private che non possono dare le garanzie giustamente richieste.

Ma qui s'inserisce il problema dei sussidi. Si è detto che abbiamo fatto entrare il sussidio per la finestra, quasi di nascosto, e si è aggiunto che questa richiesta di sovvenzioni non ha fondamento logico. Io dico all'onorevole Codignola, che ha prospettato questo problema, che una base logica vi sarebbe, perché si potrebbe dire che le imposte sono pagate da tutti i cittadini; e che, in conseguenza, coloro i quali preferiscono ricevere il servizio in altra forma, che non sia quella dell'iniziativa statale, possano richiedere che dei sussidi vadano in quella direzione.

Ma noi non abbiamo bisogno di appoggiare sulla logica questo problema, perché non l'abbiamo proposto.

Abbiamo chiesto soltanto che, laddove lo Stato ritenga — e sarà, non ci illudiamo, un fatto limitato, nella attuale situazione economica del Paese — di aiutare persone che siano particolarmente meritevoli di raggiungere i gradi più alti dell'istruzione, non si debba obbligare queste persone, cui vanno i sussidi dello Stato, a frequentare necessariamente la scuola di Stato.

Qui, amici miei, è la parità bene intesa; qui, e nelle altre poche cose che ho dette, è quella misteriosa libertà effettiva, che spaventò in sede ci commissione i nostri colleghi, e mi pare che abbia spaventato anche l'Assemblea.

Libertà effettiva che cosa vuol dire? Che cosa c'è sotto questa idea d'una libertà effettiva? Vi è questa realtà molto semplice. Se voi riconoscete alla scuola il diritto di operare, ma, al tempo stesso, le impedite ogni movimento, la mettete in condizione costante di sperequazione, la soffocate attraverso la richiesta di particolarissime condizioni, a questa scuola avete dato una libertà teorica e non effettiva. Ed a partiti, i quali sanno bene quale differenza vi sia tra una libertà teorica ed una libertà effettiva, verso la quale avanza il nostro Paese in sede sociale e politica, io credo di non dovere aggiungere altre parole di spiegazione.

Un ultimo accenno ed ho finito.

La scuola è aperta al popolo.

I meritevoli, e soltanto i meritevoli, hanno diritto di raggiungere i più alti gradi dell'istruzione.

Ho appena bisogno di dire che questa norma ha trovato consenzienti i democristiani, preoccupati essi, come sono per loro naturale tendenza, per loro programma, d'un contemporaneo svolgersi di esigenze economico-sociali e di esigenze spirituali.

Noi crederemmo di aver dato al popolo soltanto una mezza libertà, fino a che non avessimo assicurato ad esso la capacità di capire e di progredire nella vita dello spirito.

Su questo punto vi è dunque il più pieno accordo da parte nostra.

Ed è veramente in questo impegno che noi tutti assumiamo il motivo determinante di quella concordia degli spiriti, alla quale accennavo all'inizio come ad una esigenza alla quale nessuno di noi dovrebbe derogare. Una concordia d'intenti bisogna che si stabilisca di fronte ai problemi della scuola.

Non vorrei che ci separassimo e che questa legge costituzionale, così importante, si separasse da noi, per iniziare la sua vita nel nostro popolo, senza che sia dissipata l'ombra d'una discordia e d'un senso di amarezza che pesano su di noi.

In quest'impegno di combattere una battaglia per la scuola — ed io direi — per la scuola libera e per la scuola efficiente, per una scuola che serva veramente al popolo, troviamoci uniti. Domani noi continueremo questa battaglia appena ora iniziata. Si tratta di concretare le grandi linee programmatiche della futura legislazione e della futura azione concreta. Noi dovremo incontrarci ancora e vorrei che ci incontrassimo senza amarezza, con una completa fiducia per combattere questa comune battaglia di libertà, di progresso e di avanzamento spirituale per tutto il popolo italiano. (Vivi applausi al centro Molte congratulazioni).

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti