[Il 23 ottobre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo secondo della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Il Capo dello Stato».

Per la prima parte della discussione vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici del Titolo secondo della Parte seconda per il testo completo.]

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. [...] Che noi volessimo attribuire al Capo dello Stato funzioni di questo genere, risulta dal fatto che, sempre nell'articolo 83, gli abbiamo attribuito la facoltà di promulgare le leggi, di emanare decreti aventi forza di legge e regolamenti. L'onorevole Orlando può notare che per questi ultimi atti abbiamo parlato di «emanare», il che egli troverà giuridicamente corretto. Abbiamo bensì riconosciuto al Capo dello Stato la facoltà di promulgare, non già di sanzionare le leggi. L'onorevole Orlando lamenta che abbiamo lasciato cadere questo fulmine della sanzione che è sempre rimasto spuntato nelle mani del re. L'istituto delle sanzione è rimasto sempre sulla carta; non fu usato mai in quasi un secolo di Regno: salvo in un caso, che lo stesso Orlando ci ha insegnato; un solo caso d'un minuscolo trattato di commercio con un minuscolo Stato; che le Camere avevano approvato; ma poi il Governo si accorse che era un errore; e pregò il re di... non sanzionare. Tutto qui. Della sanzione non se ne fece mai nulla; tanto che i giuspubblicisti parlavano di «desuetudine».

Noi non potevamo lasciare al Presidente della Repubblica un potere di sanzione, che lo avrebbe, almeno in via di principio, fatto partecipe della funzione legislativa. Ma gli abbiamo — ed è stato perfettamente possibile con la sola figura della promulgazione — conferito la facoltà di un veto sospensivo, nel senso di chiedere un riesame della legge alle Camere. È qualcosa di più sostanzioso ed effettivo della sanzione; e si addice al compito del Capo dello Stato come regolatore fra i poteri dello Stato; non occorre risuscitare, per il gusto di una affermazione in sostanza teorica, perché rimasta sempre lettera morta, la facoltà regia della sanzione.

Noi non abbiamo nessuna simpatia per certe vecchie frasi che suonano, solenni ma vuote — e nella loro portata antidemocratiche — nelle Costituzioni degli Stati parlamentari nella fase storica dei due piloni, e del re.

Veda, onorevole Orlando, vi sono tre disposizioni dello Statuto albertino che la Commissione, e credo tutta l'Assemblea, non può accogliere; tre reliquati. L'articolo 3: «Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal re e dalle due Camere»; l'articolo 5: «Al re solo appartiene il potere esecutivo»; l'articolo 68: «La giustizia emana dal re, ed è amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce». È, sistematicamente, la preminenza del re nei tre poteri fondamentali. Ma sono disposizioni pompose e di fastigio; che lo stesso svolgimento dello Stato parlamentare aveva già svuotato, nella stessa età dei re.

Ho già detto della prima disposizione, a cui tengono tanto i nostalgici — anche se non della realtà — della concezione monarchica. Il re partecipe del potere legislativo; il re «terza Camera», terzo ramo del Parlamento. La frase viene dalla vecchia Inghilterra; ma ormai è superata e vuota; lo riconoscono gli stessi costituzionalisti inglesi dei nostri giorni; ormai la «terza Camera» è come la parrucca che i giudici inglesi tengono in capo nell'esecuzione delle loro funzioni. Noi non l'abbiamo conservata. In uno Stato democratico, come quello che noi pensiamo e viviamo, il Presidente della Repubblica non può far parte del potere legislativo, alla pari del Parlamento; può bensì, come Capo dello Stato, regolatore dei poteri, promulgare e chiedere con un veto il riesame; come può sciogliere le Camere; senza che si debba invocare la defunta teoria della terza Camera!

[...]

Presidente Terracini. [...] Passiamo all'articolo 71, il cui esame era stato rinviato.

Se ne dia lettura.

Riccio, Segretario, legge:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall'approvazione.

«Se le Camere ne dichiarano l'urgenza, ciascuna a maggioranza assoluta dei suoi membri, la legge è promulgata nel termine fissato dalle Camere stesse.

«Le leggi entrano in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l'urgenza».

Presidente Terracini. A questo articolo, l'onorevole Bozzi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma con i seguenti:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall'approvazione.

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione, se le Camere confermano la precedente deliberazione a maggioranza assoluta dei loro membri».

Ha facoltà di svolgerlo.

[L'intervento dell'onorevole Bozzi, e gli altri interventi relativi al suo emendamento, sono riportati a commento dell'articolo 74.]

[...]

Presidente Terracini. L'onorevole Codacci Pisanelli aveva presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sostituire le prime quattro parole con le seguenti: Le leggi sono sanzionate e promulgate...».

Questo emendamento è ormai stato superato dalla deliberazione di ieri, relativa alla promulgazione delle leggi (articolo 83).

L'onorevole Codacci Pisanelli ha presentato anche il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma con i seguenti:

«Le leggi non potranno avere effetto retroattivo, né entreranno in vigore prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che contengano la dichiarazione di urgenza.

«Le norme giuridiche non costituzionali, disciplinanti una determinata materia, potranno essere raccolte e coordinate in unico testo mediante decreto del Capo dello Stato.

«I testi unici avranno valore di promulgazione novativa delle leggi in essi comprese, alle quali potranno solo recare modificazioni di pura forma, salvo apposita più ampia delega legislativa».

Ha facoltà di svolgerlo.

Codacci Pisanelli. Onorevoli colleghi, reputo opportuno richiamare l'attenzione dell'Assemblea sopra due atti molto importanti della formazione delle leggi, cioè la promulgazione e la pubblicazione. È stata mossa l'accusa che si sia tentato surrettiziamente, secondo l'elegante espressione del Presidente della Commissione dei Settantacinque, di introdurre qui il principio della irretroattività della legge in genere. In verità, onorevoli colleghi, io non so se possa effettivamente parlarsi di un artificio e di un subdolo tentativo. In realtà, trattandosi della formazione delle leggi, dovendosi accennare in particolare al momento in cui una legge entra in vigore, si è evidentemente affrontato il problema dell'efficacia della legge in generale e dell'efficacia della legge nel tempo, in particolare.

Ora, trattandosi dell'efficacia della legge nel tempo, ritengo non sia inutile prendere in esame questo problema della retroattività della legge in genere, problema che noi abbiamo esaminato soltanto a proposito della legge penale.

Quando si iniziano gli studi giuridici, uno dei primi principî che si incontrano è precisamente quello della irretroattività della legge. Purtroppo in un recente passato, il principio è stato ripetutamente violato, e tanto più noi dobbiamo ora stare in guardia perché esso sia difeso.

Con l'emendamento proposto, sostengo, quindi, innanzitutto, che le leggi non debbano avere efficacia retroattiva. Ma vi sono altri due punti cui accenno e che mi preme di mettere in rilievo. Per quello che riguarda la pubblicazione, non v'è nulla di particolare da aggiungere a quello che è il testo proposto dalla Commissione; ma, per quello che riguarda invece la promulgazione, ho già accennato ieri sera che si tratta di un atto della più grande importanza, in quanto attiene a quello che è il problema della conoscibilità della legge con assoluta certezza.

Noi abbiamo visto, infatti, onorevoli colleghi, come alle volte un «e» invece di un «o» possa mutare profondamente il senso e lo spirito di una disposizione normativa. Ma quella che propongo alla vostra attenzione è una questione di non poco rilievo, ed è precisamente la questione che riguarda i testi unici. Infatti noi sappiamo che fra gli scopi della civiltà, oltre quello di fare delle giuste leggi, è anche quello di far conoscere queste giuste leggi. Richiamo l'attenzione dell'Assemblea sull'importanza del problema e soprattutto sul significato di progresso che ha nella storia.

Ricordiamo, infatti, che un tempo la conoscenza delle leggi era considerata patrimonio esclusivo del patriziato; basterebbe rammentare, a questo proposito, le leggi decemvirali. La conoscenza delle leggi è stata, quindi, per lungo corso di tempo patrimonio esclusivo della parte più conservatrice dei popoli. E, a proposito della necessità di divulgare le leggi e della importanza che assume questo problema, mi permetto di ricordare un precedente che può servire a rallegrare l'Assemblea. Sappiamo dalla storia cinese (Commenti) che, nel sesto secolo avanti Cristo, Sciutrian, consigliere di Stato del principe di Zin, rimproverava con una lettera, conservata tuttora, Ze-cian, allora principedi Cen, perché aveva fatto pubblicare le leggi penali su vasi di ferro, invece di tenerle nascoste (vedi Andreozzi, Le leggi penali degli antichi cinesi, Firenze, 1878, pag. 34).

Il consigliere cinese affermava che era molto migliore il tempo in cui la gente rispettava la legge senza conoscerla e senza conoscere il limite fino al quale poteva spingersi senza commettere un reato.

Mi son permesso di richiamare questo precedente storico, perché, se non si verifica più tale fenomeno, ve ne sono, però, altri non molto dissimili, come quello di opporsi alla lotta contro l'analfabetismo, perché la diffusione della cultura avrebbe propagato il malcostume. Non mancano i fenomeni odierni che possono in un certo senso assimilarsi alla preoccupazione di non far conoscere le leggi.

In materia di conoscenza della legge vi può essere un oscurantismo volontario, come quello del patriziato romano, che voleva impedire alla plebe di conoscere le leggi, tanto che sorse il tribuno Tarentilio Arsa, il romagnolo dell'epoca, probabilmente, il quale al grido «la conoscenza delle leggi o il caos» ottenne la codificazione decemvirale.

Oltre quello volontario vi è però, anche un oscurantismo involontario, ma, oggi, non meno colpevole. Attraverso una legislazione a getto continuo che non sia poi successivamente coordinata, si può arrivare ad una confusione tale che gli stessi studiosi ed esperti della materia non sono in grado di conoscere quale sia la norma vigente in un determinato campo.

Per rimediare a questo inconveniente si è sentita quella tale, esigenza che spinse Giustiniano a trarre dalle leggi il troppo e il vano, in maniera che fossero conosciute. (Commenti).

Per conoscere le leggi non basta emanarle e promulgarle, ma bisogna anche ad un certo momento riunirle, coordinarle. Tale coordinazione è normalmente avvenuta attraverso i testi unici. Ma se i testi unici potevano risolvere il problema in parte, non lo risolvevano in tutto, in quanto che non si sapeva con esattezza quale valore dovesse attribuirsi ad essi. In altri termini, se si trova una norma in un testo unico, si può ritenere che essa sia effettivamente vigente, o bisogna andare a vedere il testo legislativo in cui è stata per la prima volta emanata?

La questione è stata molto discussa. Si andava a vedere in che termini era stata redatta la delega da parte del potere legislativo, quando vi era stata, e, secondo i casi, si concludeva per il valore autentico del testo unico o meno. In altri termini, siccome non vi erano disposizioni specifiche al riguardo, il prendere in mano un testo unico era comodo, sì, ma lasciava sussistere l'incertezza che si fosse andati oltre i limiti della delega e che la norma riportata non fosse esattamente quella un tempo emanata. Di qui la conseguenza che, basandosi sul testo unico, si poteva essere tratti in errore.

Per eliminare questi inconvenienti, siccome ritengo che il testo unico sia rivolto in genere a fornire un nuovo documento per la conoscenza della legge, a mutarne la sola fonte di cognizione, cioè il solo documento, la sola parte materiale, sarebbe opportuno che nella Costituzione si accennasse al problema, e risultasse come il testo unico debba considerarsi quasi come una nuova promulgazione. Qual è il valore da attribuire a questa nuova promulgazione? Qual è il valore del testo originariamente emanato rispetto al nuovo testo unico? Il problema non si presenta per la prima volta nel campo dell'emanazione delle leggi...

Presidente Terracini. Onorevole Codacci Pisanelli, la prego di tener conto del tempo.

Codacci Pisanelli. Finisco subito. Quando una materia sia disciplinata completamente da una legge nuova, la legge precedente si ritiene abrogata; è una forma di abrogazione questa di disciplinare nuovamente e completamente una determinata materia. Così, seguendo lo stesso principio, si potrebbe attribuire questa efficacia abrogativa, estintiva o, se si preferisce, novativa, alla nuova promulgazione d'una norma giuridica.

Ecco perché propongo che si accenni ai testi unici, che si riconosca ad essi il valore di una nuova promulgazione, che si riconosca ad essi il valore di novare la fonte di cognizione, per esprimersi in termini tecnici. Ma attraverso questi aridi termini tecnici, mi propongo soprattutto di contribuire a quel progresso cui tutti aspiriamo, che deve realizzarsi oltre che negli altri campi, anche in quello della conoscenza delle leggi, perché, se è importante l'osservanza delle leggi e il fare delle leggi giuste, è altrettanto importante che le leggi siano da tutti conoscibili.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento presentato dagli onorevoli Caronia e Aldisio:

«Al primo comma, aggiungere le parole seguenti: salvo il caso che questi non ne abbia deciso il rinvio alle Camere per un nuovo esame o per il referendum».

Non essendo l'onorevole Caronia e l'onorevole Aldisio presenti, s'intende che abbiano rinunziato a svolgerlo.

L'onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, alle parole: abbiano come sopra dichiarato l'urgenza, sostituire le seguenti altre: stabiliscano d'accordo un termine diverso».

Ha facoltà di svolgerlo.

Colitto. L'articolo 71 dispone che le leggi entrino in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione.

Ora, può ben darsi che, per ragioni varie, sia necessario che la legge entri in vigore in un termine diverso.

È perciò che io ho proposto di sostituire alle parole del progetto le seguenti altre: «salvo che le Camere stabiliscano d'accordo un termine diverso».

Il progetto dispone: «salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l'urgenza».

La dizione da me proposta sembrami da preferire, perché più ampia. Essa abbraccia indubbiamente un numero di casi maggiore di quello che abbracci il testo del progetto.

Probabilmente la dizione dell'articolo 71 che leggiamo nel testo del progetto deriva dal fatto che l'articolo 71 dovette essere posto in relazione col primo comma del successivo articolo 72; ma, poiché questo primo comma è stato falcidiato dall'Assemblea Costituente, penso che il mio emendamento, non essendo più in relazione con la prima parte dell'articolo 72, possa essere accolto.

Presidente Terracini. L'onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«All'ultimo comma, sostituire le parole: ventesimo giorno, con le altre: quindicesimo giorno».

Ha facoltà di svolgerlo.

Perassi. All'ultimo comma dell'articolo 71 si dice: «Le leggi entrano in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l'urgenza».

Può parere strano che si sia parlato del ventesimo giorno, mentre nella nostra prassi legislativa la vacatio legis è di quindici giorni. Perché si è parlato di venti giorni? Perché questo termine aveva una ragion d'essere in quanto collegato col successivo articolo 72, che prevedeva nel suo primo comma il referendum cosiddetto sospensivo o fermativo della legge, precisandone alcune modalità di procedura.

Ora, l'Assemblea ricorda che l'articolo 72 è stato — dopo lunga discussione — dimezzato, nel senso che è rimasto di esso solo l'ultima parte, che prevede soltanto il referendum abrogativo.

In queste condizioni non c'è più ragione di dire «ventesimo giorno». Si può tornare al termine tradizionale.

Perciò propongo che nell'ultimo comma dell'articolo 71 si sostituisca la parola «ventesimo» con la parola «quindicesimo», cioè: «Le leggi entrano in vigore non prima del quindicesimo giorno, ecc.».

Aderisco poi, personalmente, a quanto ha proposto l'onorevole Colitto.

Mastino Pietro. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Mastino Pietro. Ho chiesto di parlare per una breve osservazione sull'emendamento proposto dall'onorevole Codacci Pisanelli. Egli sostiene la necessità che le norme giuridiche relative ad una determinata materia siano raccolte e coordinate in unico testo, in base a decreto del Capo dello Stato. Su questo concetto sono pienamente d'accordo.

Non sono però per nulla d'accordo su quanto ha affermato l'onorevole Codacci Pisanelli illustrando l'emendamento, poiché egli ha detto che la norma giuridica disciplinata e regolata in unico testo disposto dal Capo dello Stato costituisca una nuova promulgazione della legge. Non solo egli ha detto ciò, ma lo ha confermato col dire che si verificherebbe una specie di novazione; vale a dire noi finiremmo col far sì che il Capo dello Stato possa modificare la legge. Su questo non possiamo consentire, cioè permettere che si attribuisca al Capo dello Stato per una via indiretta ciò che per la via diretta gli viene negato. La norma giuridica dovrà essere raccolta e coordinata in unico testo che serva a precisarne la dizione, che serva a fissarne la formulazione definitiva, senza però che minimamente il contenuto e lo spirito della legge possano essere alterati. Quindi io intendo approvare l'emendamento proposto dall'onorevole Codacci Pisanelli, perché vi sia una materiale raccolta, in unico testo coordinato, delle norme giuridiche, le quali però devono avere la significazione e la portata loro attribuita dalle Camere legislative.

Codacci Pisanelli. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Onorevole Codacci Pisanelli, lei ha svolto il suo emendamento.

Codacci Pisanelli. Vorrei chiarire solo un malinteso.

Presidente Terracini. Ha facoltà di parlare.

Codacci Pisanelli. Sono perfettamente d'accordo con l'oratore che mi ha preceduto. È appunto perché intendo che non possa essere modificata la norma, che ho parlato di testi unici con valore di nuova promulgazione.

Mastino Pietro. E di novazione.

Codacci Pisanelli. È sempre promulgazione. Ora, la promulgazione non potrebbe modificare il testo deliberato dall'Assemblea legislativa. Quando parlo di nuova promulgazione, mi riferisco semplicemente alla parte documento, non alla parte contenuto della norma. Del resto, se non adotteremo la formula proposta, il testo unico presenterà l'inconveniente precedente. Cioè potrà darsi che non riproduca esattamente il testo originario e a rigore non giovi a nulla, perché occorrerà sempre andare a vedere il testo originario. Solo questo volevo dire. Sono perfettamente d'accordo con il mio interlocutore, ma intendevo fare in maniera che il testo unico servisse ad assicurare la certezza della norma.

Presidente Terracini. Prego la Commissione di esprimere il suo avviso sopra gli altri emendamenti.

Tosato. La Commissione accoglie l'emendamento presentato dall'onorevole Colitto e l'emendamento presentato or ora dall'onorevole Perassi.

Per quanto riguarda il più ampio emendamento proposto dall'onorevole Codacci Pisanelli, questo emendamento solleva due questioni di ordine diverso: una questione molto grave e di indole generale relativa al problema della irretroattività della legge; l'altro problema relativo ai testi unici.

Per quanto riguarda la irretroattività della legge, vorrei ricordare che l'Assemblea ha già votato un articolo che sancisce la irretroattività della legge in materia penale. Nelle altre materie, pur essendo d'accordo, di massima, sul principio generale e fondamentale della irretroattività della legge, la Commissione, dopo di avere esaminato in tutti i suoi aspetti la questione, non ritiene opportuno inserire nella Costituzione una specifica norma che stabilisca, senza eccezioni, la non retroattività della legge. Tale norma rigida potrebbe dar luogo ad inconvenienti. Si pensi, ad esempio, alle gravi difficoltà che sorgerebbero in materia di modificazioni in aumento degli stipendi, cui si ritenga di dare efficacia retroattiva.

Per quanto riguarda l'altro problema relativo ai testi unici, io ritengo che la Costituzione debba essere molto sobria e che la Costituzione debba occuparsi soltanto di ciò che è veramente essenziale. Ora, relativamente al problema dei testi unici le questioni sono due: o si tratta puramente e semplicemente di accogliere in un unico testo, senza introdurvi modificazioni, le disposizioni legislative contenute in leggi diverse, ed allora questa è cosa che può fare il Governo, come può fare qualsiasi privato; o si tratta, invece, ed è questo soltanto il problema pratico, di coordinare varie disposizioni legislative contenute in leggi diverse, allo scopo di coordinarle non solo dal lato formale, ma anche sostanziale, apportandovi le necessarie modificazioni, e allora, evidentemente, occorre una delegazione legislativa già prevista e disciplinata dalla nostra legislazione. Per questa ragione la Commissione non è favorevole all'accoglimento dell'emendamento Codacci Pisanelli.

Orlando Vittorio Emanuele. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Orlando Vittorio Emanuele. Avevo chiesto di parlare sul punto relativo al messaggio presidenziale sospensivo della legge. Posso parlarne ora?

Presidente Terracini. Sì, nell'emendamento Bozzi si parla appunto del messaggio.

Orlando Vittorio Emanuele. Prendo argomento da questo punto su cui ora l'Assemblea è chiamata a pronunciarsi, per mettere in rilievo la gravità delle deliberazioni che si stanno per prendere. Qui si tratta di sapere se il Presidente, il Capo dello Stato, in questo momento solenne della vita della Nazione, quale è la proclamazione del diritto, debba essere del tutto estromesso. Come dissi oggi stesso, io penso che sia una curiosa maniera di affermare devozione verso la Repubblica quella di volere il Capo dello Stato di questa Repubblica quanto meno autorevole sia possibile.

Badate, voi aprite la via ad una quantità di conflitti pericolosissimi, perché non è possibile che un Capo dello Stato, a meno che non sia un fannullone, un fainéant, possa adattarsi ad essere e restare estraneo al compimento dell'atto, in cui la volontà dello Stato si manifesta nella forma più solenne. L'onorevole Ruini mi ha detto che la sanzione non fu mai applicata, e che si tratta di un elemento affatto decorativo.

Si può intanto rispondere che qualche volta anche gli elementi decorativi hanno la loro importanza e la storia insegna come all'autorità si addica un carattere augusto. Ma, anche dal lato sostanziale, sa il collega Ruini la ragione per cui la sanzione era caduta in disuso? Non perché il Capo dello Stato si estraniasse da questo potere, ma perché sussisteva un istituto che qui vedo abolito, se non m'inganno, perché io non mi raccapezzo più in queste disposizioni che sono state sospese, riprese, accantonate, emendate... Comunque, non m'inganno nel ritenere che non ci sia più traccia di sessioni, come periodi del lavoro parlamentare e legislativo. Or si capisce come gli uomini politici nella vita normale dello Stato, prima subalpino e poi parlamentare, non fossero mai ricorsi al rifiuto della sanzione, perché attraverso la proroga della sessione raggiungevano il medesimo fine, con mezzi assai più semplici. Il rifiuto della sanzione infatti poneva un contrasto aspro, aperto, violento fra Capo dello Stato e Parlamento, il che era prudente evitare, in tanto più in quanto non era necessario. Bastava ricorrere appunto alla proroga della sessione, ed allora, secondo la disposizione dello Statuto, una delle conseguenze era che tutti i disegni di legge cadevano...

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiudevano la sessione, non la prorogavano.

Orlando Vittorio Emanuele. Appunto, ma la espressione proroga è della Costituzione inglese. Vi sto dicendo che non si ricorreva alla sanzione, perché c'era il mezzo più semplice di chiudere le sessioni. Ma voi togliete al Capo dello Stato la facoltà della proroga delle sessioni, e gli togliete pure la sanzione.

Si può bene supporre che una data legge apparisca al Capo dello Stato come rovinosa di interessi vitali dello Stato. Sapete che mezzo gli resterà? Guardate in quali fossi (stavo per dire abissi, ma è meglio non drammatizzar troppo ed uso la parola «fossi») insabbiamo questo nostro disordinato ordinamento: un Capo dello Stato lo chiamate responsabile — questo poi è un altro punto — e lo inviate all'Alta Corte per alto tradimento, e sta bene, ma anche per violazione della Costituzione.

La violazione della Costituzione è una espressione molto elastica. Si potrà sempre affermare che con una data legge la Costituzione fu violata. Chissà quante volte lo si dirà.

L'interpretazione di un testo può sempre dar luogo a dubbi! Ora, voi dichiarate niente meno che il Capo dello Stato può essere tradotto in Alta Corte per violazione della Costituzione e poi gli affidate la promulgazione di una legge che può essere la violazione della Costituzione. Egli verrebbe così ad essere per lo meno lo strumento di un eventuale delitto gravissimo. È allora umanamente spiegabile che egli ricorra ad ogni mezzo per impedirlo. Prima bastava una semplice chiusura di sessione, ora dovrà servirsi dello scioglimento della Camera: rimedio incomparabilmente più grave e più pericoloso.

Io voterò l'emendamento dell'onorevole Bozzi, che considero come un male minore. Ma badate bene, onorevole Ruini! Quando voi dicevate: «i piloni!». Che Repubblica facciamo noi? A meno che non si voglia fare come l'abate Sieyès.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. No!

Orlando Vittorio Emanuele. Ripugna a voi stesso passare alcune notti a scrivere delle Costituzioni su svariati modelli e poi metterle in pubblico come vestiti confezionati dalla «Rinascente». Le Costituzioni si creano con il costume, con la lenta evoluzione, con successivi adattamenti a bisogni nuovi, non per atti di una volontà, capace, libera. Non c'è bisogno di ricorrere ai cinesi antichissimi ricordati dall'onorevole Codacci Pisanelli. Tutta la storia delle Costituzioni dimostra che sono i popoli nella loro storicità che le formano e il costume che le consacra.

Quante forme di repubbliche abbiamo? Due: la parlamentare e la presidenziale. Non si deve pretendere di creare una terza specie, che non si sa bene che sia. In questo momento io non faccio una digressione. Io voterò l'emendamento Bozzi, ma questo emendamento suppone la Repubblica presidenziale.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. No!

Perassi. In Francia c'è.

Orlando Vittorio Emanuele. L'istituto è proprio della Repubblica presidenziale; nella forma parlamentare il Capo dello Stato è sempre presente nelle persone dei Ministri. Allora noi facciamo una repubblica presidenziale? No, perché i Ministri rispondono al Parlamento e non al Presidente. Dunque, sarebbe una repubblica parlamentare? Ma se è una repubblica parlamentare, come si collega il voto del mio amico Bozzi con questo Consiglio di Ministri, con questo Presidente di Consiglio, che ha visto nascere e crescere quella legge di cui poi il Capo dello Stato potrà dire: «Non mi piace»? Vedete che conflitto può nascere?

In fatto di istituzioni bisogna adottare istituzioni consacrate dall'uso. Queste si possono modificare con successivi adattamenti, perché allora diventa questo un modo di progresso ed anche di trasformazioni imposte dalla vita concreta. Ma l'aver fatto una repubblica che non si sa bene se sia parlamentare (perché in molti casi è ultraparlamentare) o presidenziale, è veramente quel salto nel buio cui ho alluso dianzi o per cui c'è da augurarsi che non ne derivino fratture o contusioni gravi.

Preti. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Preti. Il nostro Gruppo voterà contro l'emendamento proposto dall'onorevole Bozzi. Egli, in sostanza, cerca di far entrare per vie traverse nella Costituzione una specie di sanzione attenuata. Ma non è questo che conta.

Il fatto è che a noi sembra che l'emendamento Bozzi in regime di Repubblica parlamentare sia controproducente. Infatti, poniamo che il Presidente della Repubblica, con messaggio motivato, domandi alle Camere una nuova deliberazione. Poniamo che le Camere confermino la deliberazione già presa. Ebbene, dopo questa conferma, indubbiamente, la figura del Presidente della Repubblica viene ad essere sminuita.

Presidente Terracini. L'onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

Tosato. Due semplici rilievi, specialmente per quanto riguarda l'intervento dell'onorevole Vittorio Emanuele Orlando.

Evidentemente, Presidente Orlando, qui vi sono due diverse concezioni del Governo parlamentare e della figura del Capo dello Stato.

Vorrei ricordare che l'articolo 88, nel testo proposto dalla Commissione, dice che un voto contrario dell'una o dell'altra Camera su una proposta del Governo non importa dimissioni. A quale preoccupazione risponde questo comma? Evidentemente a quella di rendere più stabile possibile il Governo e di non costringerlo alle dimissioni, se una qualsiasi sua proposta non è accolta dalle Camere.

Ora, un caso di proposta governativa non accolta dalle Camere può essere questo: un disegno di legge presentato alle Camere da parte del Governo non è accolto oppure è approvato dalle Camere con profondi emendamenti, che investono da vicino la politica generale del Governo. In questo caso, evidentemente, il potere del Governo, cioè del Presidente insieme col suo Governo, di rinviare alle Camere per un nuovo esame una legge da esse già deliberata, può servire ad evitare certe possibilità, quali le dimissioni del Governo o lo scioglimento delle Camere.

Per quanto riguarda l'altro rilievo fatto dal Presidente Orlando e anche dall'onorevole Preti, cioè l'avere stabilito nel progetto che il Presidente della Repubblica è responsabile non soltanto per alto tradimento, ma anche per violazione della Costituzione, siamo perfettamente d'accordo. Qual è la situazione del Presidente? Egli deve promulgare le leggi e quindi non può essere responsabile di un atto evidentemente obbligatorio. Tuttavia, se teniamo presente la posizione e la funzione, che abbiamo voluto attribuire al Presidente della Repubblica, di organo che non concorre a determinare positivamente e sostanzialmente le decisioni politiche del Governo, e d'altra parte non è nemmeno un organo puramente decorativo, con funzione simbolica, se teniamo presente che, secondo questa nostra Costituzione, il Presidente ha compito fondamentale, sebbene non esclusivo — è prevista infatti la Corte Costituzionale — di salvaguardare e di tutelare l'osservanza della Costituzione nello svolgimento dell'attività degli organi costituzionali, sembra sommamente opportuno che, proprio per questa sua altissima funzione, il Presidente, prima di pubblicare una legge, possa avere il potere di rinviarla alle Camere stesse, per un riesame.

Per queste ragioni, insistiamo sull'emendamento Bozzi, senza tema di introdurre così nella Costituzione un elemento proprio e caratteristico del Governo presidenziale; tanto più che questa possibilità del Presidente di rinviare alle Camere una legge da esse deliberata, non è caratteristica esclusiva della Repubblica presidenziale, essendo adottata anche dalla Costituzione di Repubbliche parlamentari.

Presidente Terracini. Ha facoltà di parlare l'onorevole Ruini.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei pregare l'onorevole Codacci Pisanelli di non insistere sulla proposta della retroattività della legge civile, che è stata esaminata dalla dottrina e dai Governi con tanta attenzione e pazienza, in tutti i paesi; e tutti hanno riconosciuto che non è possibile prescriverla in senso assoluto e senza possibilità di eccezione, come si farebbe qui, mettendola nella Costituzione. Abbiamo provveduto, come era necessario, stabilendo la irretroattività delle pene. Non possiamo stabilire il principio stesso, rigidamente, in altri rami del diritto. Come fare in una società come la nostra, così piena di movimento e di trasformazioni economiche? Né si tratta, con l'irretroattività, di tutelare diritti quesiti (di cui è comunque ben difficile la definizione); vi sono casi in cui la retroattività può esser utile... ad esempio agli impiegati, cui si concedano aumenti retroattivi di stipendio. Se fosse sancita l'irretroattività, non se ne farebbe nulla. Meglio lasciare che il principio sia stabilito, nei termini più opportuni, nei Codici, ma lasciando a leggi particolari, per date materie, la possibilità di deroghe.

Non vorrei replicare all'onorevole Orlando; mi limito a chiedergli se vi è stato mai un caso in cui si sia chiusa una sessione per non dare la sanzione ad una legge. Il Governo ha in più casi chiuso la sessione perché non andava d'accordo con le Camere, e voleva così influire sul lavoro legislativo; ma è tutt'altra cosa che la sanzione.

L'onorevole Orlando ha detto con tanta nobiltà: state alla tradizione! Noi vogliamo attenerci ad essa, e ad essa ci siamo attenuti, in quanto non era in contrasto con esigenze irreducibili del processo democratico. Ma non possiamo, per il feticismo della tradizione, conservare ciò che è ormai un anacronismo. Né possiamo tenere in vita, come cose vive, disposizioni già morte, come i tre famosi reliquati di articoli dello Statuto albertino, di cui ho già parlato. Non vogliamo risuscitare fantasmi. E tradizione vuol dire non fermarsi, ma camminare nel suo solco. Jaurès diceva che un fiume non rinnega la fonte, mentre va alla foce.

Né giova badar troppo ai nomi ed alle etichette. Stato parlamentare può avere vari significati. Può anche voler dire — lo ho ripetuto — lo Stato ad un solo Parlamento da cui dipendono come commessi tutti gli altri organi dello Stato...

Orlando Vittorio Emanuele. Non significa questo!

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. D'accordo; ma non si può credere di risolvere i problemi con posizioni teoriche e con designazioni, che riferendosi a varie situazioni e tipi storici, si prestano a varie interpretazioni.

Non tengo affatto ai due piloni, che non è una teoria, ma un'immagine per richiamare l'attenzione. Mi serve a dire che il pilone che dobbiamo riedificare non è quello del re. Non pensiamo neppure come avviamento ad un sistema presidenziale; tutt'altro: il nostro Presidente della Repubblica non è Capo del Governo; è un moderatore supremo fra i poteri dello Stato, in un edificio che basa tutto sulla sovranità popolare.

Non possiamo indulgere a ciò che è troppo vecchio, e — si noti — era già vuoto di contenuto. Vogliamo camminare avanti, con cautela ma con fermezza. La Costituzione non può essere immobile; saranno necessarie modificazioni ed aggiunte, per tener conto appunto dell'esperienza che si farà. È l'indirizzo che deve essere chiaro e sicuro. (Applausi).

Presidente Terracini. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono. Onorevole Caronia, mantiene il suo emendamento?

Caronia. Vi rinunzio e aderisco a quello Bozzi.

Presidente Terracini. E lei, onorevole Codacci Pisanelli?

Codacci Pisanelli. Il primo è ormai superato. Insisto, invece, sul secondo.

Presidente Terracini. Sta bene. L'emendamento dell'onorevole Colitto, dato che è stato accettato dalla Commissione, naturalmente s'intende mantenuto. E così pure per quanto riguarda gli emendamenti Perassi e Bozzi.

Passiamo ora alle votazioni.

Pongo in votazione il primo comma dell'articolo 71 nel testo del progetto, che coincide col primo comma del testo proposto dall'onorevole Bozzi e che è del seguente tenore:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall'approvazione».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma che nel testo Bozzi è del seguente tenore:

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione, se le Camere confermano la precedente deliberazione a maggioranza assoluta dei loro membri».

[La discussione e la votazione di questo comma sono riportate a commento dell'articolo 74.]

[...]

Presidente Terracini. Indico la votazione per appello nominale sul secondo comma dell'emendamento Bozzi (escluso le parole finali: «a maggioranza assoluta dei loro membri», sulle quali si voterà in seguito), del quale do ancora una volta lettura:

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione se le Camere confermano la precedente deliberazione».

[...]

Presidente Terracini. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti............ 341
Maggioranza.............. 171
Hanno risposto ....... 197
Hanno risposto no..... 144

(L'Assemblea approva).

Bozzi. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Bozzi. Ritiro la seconda parte del mio emendamento: «a maggioranza assoluta dei loro membri».

Presidente Terracini. Sta bene. Resta pertanto conclusa la votazione sull'emendamento dell'onorevole Bozzi.

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti